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La chirurgia estetica al tempo di Instagram e Pornhub

«L’immagine che ci rimanda lo specchio è più quello che abbiamo dentro che quello che si vede fuori» spiega la psicoterapeuta Francesca Nobile, che lancia l'allarme: «Tanti giovani si isolano, non si accettano. Ma non è l'intervento chirurgico che risolve problemi»

«L’immagine che ci rimanda lo specchio è più quello che abbiamo dentro che quello che si vede fuori». E’ su quello che bisogna lavorare. Francesca Nobile è una psicologa psicoterapeuta e dottoranda in scienze sociali in psicologia applicata. Piemontese di origine, si trasferisce a Padova una quindicina di anni fa per studiare all’università e qui è rimasta. Lavora da sette anni in una clinica privata nel padovano e nel contempo segue una serie di progetti che affrontano, dal punto di vista psicologico, l’impatto della chirurgia plastica nella società di oggi. Se fino a una decina di anni fa era un argomento che comunque coinvolgeva una nicchia di persone, da sette, otto anni in qua le cose sono decisamente cambiate. Sono sempre più i giovani, non solo donne, che richiedono interventi chirurgici per ragioni meramente estetiche. Un fenomeno diffusissimo nelle Americhe, dal nord al sud. Fenomeno presente pure in Italia, e in Veneto.

Effetto Pornhub

E non si tratta solo degli interventi più facilmente immaginabili, ma la volontà di correzione estetica raggiunge ormai ogni parte del corpo.«Ci sono interventi di vulva plastica o labiaplastica in cui viene ridefinita la forma delle piccole grandi labbra nelle zone genitali femminili. Sono interventi che si facevano per correggere difetti congeniti o dopo un parto. Ci sono casi invece in cui donne molto giovani, appena maggiorenni, che non per motivi medici o di fastidio fisico, ma perché dopo avere effettuato la depilazione totale, spesso definitiva, scoprono che la zona è maggiormente esposta alla vista. Il fatto che questa poi non sia corrispondente al modello proposto dalle attrici hard o nei filmati pornografici a cui facilmente si può accedere, porta l’uomo, anzi il ragazzo in questo caso, a cercare tale modello e la donna, la ragazza, a soffrirne perché non risponde a certi specifici e artificiosi canoni».

Allarme

Come ti sei avvicinata a questo mondo, come hai cominciato a lavorare proponendo qualcosa che di fatto prima in Italia non c’era. Forse perché il problema non esisteva o forse perché si sottovalutata la questione: «Alla fine del 2013, stavo terminando la scuola di psicoterapia, mi sono imbattuta sempre più con pubblicità che stimolavano gli interventi di chirurgia estetica su spazi non del tutto appropriati, non in riveste mediche per intenderci. Questo ha attirato molto la mia attenzione». E’ curioso come una clinica che effettua questo tipo di interventi possa assumere una che potenzialmente potrebbe diventare elemento dissuasivo. Parlando di sanità privata, questa domanda sorge spontanea. «Ho mandato una mail e una lettera di presentazione a diversi chirurghi plastici e a cliniche che si occupavano di chirurgia plastica. L’unica che mi ha risposto è stata la clinica Città Giardino che si è dimostrata invece molto ricettiva rispetto a ciò che proponevo. Abbiamo cominciato questa collaborazione un po’ in punta di piedi, per conoscerci l’un l’altro. In concomitanza mi hanno convocato all’interno di un progetto europeo che si chiama “cost action” e nelle specifico si occupava di “appearance matters”, i disagi psicosociali derivati da un aspetto fisico non soddisfacente. Qualcosa che non piace a livello fisico. Questo progetto capitava al momento giusto perché ho potuto imparare tantissimo da colleghi europei molto avanti su questo tipo di tematiche: dal come trattare i pazienti insoddisfatti del proprio aspetto per difetti congeniti, per deturpazioni come quelle che possono essere causate da un incidente e come organizzare l’intervento terapeutico specifico per queste tematiche».

Così non fanno tutti

«Dal 2016 - racconta la psicologa - è stabile in clinica un servizio che si chiama Centro Donna Città Giardino, che comprende anche il consulto di prassi per tutti i pazienti. Un grande traguardo perché permette alle persone di prendersi il tempo per riflettere sull’intervento non in termini decisivi ma anche per organizzare gli aspetti pratici e psicologici collegati all’intervento stesso: da chi accompagna il paziente e lo sostiene nella ripresa post operatoria al tempo concesso per assentarsi dal lavoro. Anche per il chirurgo è molto utile, permette di ridurre al minimo il rischio di insoddisfazione post operatoria, cosa di primaria importanza per entrambe le parti».

Giovani padovani

Quale altro aspetto emerge tra il lavoro, la ricerca e i progetti? Che altro fenomeno coinvolge i giovani, anche padovani, che secondo te preoccupa? «Stiamo ricevendo tantissimi allarmi riguardo le richieste di modificazioni corporee precoci date dall’esigenza di apparire come nelle foto sottoposte al filtro di instagram. Ci sono casi di ritiro sociale, giovani che non escono più di casa perché non si riconoscono fuori dal “filtro” dell’applicazione. Questo è un vero e proprio allarme. I social media accentuano questo problema ma alla base c’è una non accettazione del proprio corpo. Nella clinica dove lavoro non si verificano questi casi perché è risaputo che da noi si cerca al contrario di suggerire altri tipi di percorsi, ma non sempre va così».

Autostima

«Autostima, sicurezza - conclude l'esperta - in sé stessi, sono aspetti da verificare nei colloqui, quali sono le aspettative, le motivazioni che li spingono verso la chirurgia plastica. Grazie alle risposte che da il paziente siamo in grado di capire se l’intervento può essere di giovamento o se è meglio non intervenire». Fa preoccupare sentire che i giovani si chiudono in casa perché non si riconoscono o non accettano il loro aspetto. «Bisogna riconquistare sicurezza psicosociale, in modo da non isolarsi e poter ritornare a vivere in modo più sereno. L’intervento di modificazione corporea senza una presa di coscienza diventa un po’ sterile, spesso non efficace. Il fine ultimo è che il paziente stia bene. Abbiamo avuto un caso di un ragazzo che voleva farsi amputare una parte del corpo funzionale e sana, in quel caso è il chirurgo stesso che non ha preso neppure in considerazione l’idea. Gli abbiamo consigliato un supporto psicologico, ma non so com’è finita. Noi possiamo indicare, consigliare ma poi sono sempre le persona che decidono».

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