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Attualità Anguillara Veneta / Via Municipio

Cittadinanza onoraria a Bolsonaro: ecco perché assolutamente no

Analizzando la figura di Bolsonaro esce il ritratto di un uomo misogino, omofobo, razzista e nostalgico della dittatura militare. A prescindere dai 600mila morti da Covid, il Presidente brasiliano ha un cv di tutto rispetto per quanto riguarda lo sprezzo dei diritti umani

Jair Bolsonaro ad Anguillara Veneta e poi in visita privata al Santo. Chi lo avrebbe mai detto. Discendente di un uomo che proprio da quel piccolo Comune è partito, sul finire dell’Ottocento, l’amministrazione ha ben pensato di insignirlo del titolo di cittadino onorario. Quando mai ricapita, avranno pensato, di avere un discendente di Anguillara capo di Stato? 

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Nell’analizzare come mai questa scelta non è solo inopportuna o fuori posto, ma è profondamente sbagliata, chi scrive chiede lo sforzo di mettere da parte il fatto che, proprio negli ultimi giorni, Bolsonaro è stato indagato per crimini contro l’umanità a causa della sua gestione del Covid 19. La sua strategia di opposizione al virus, che ha pure contratto, ha infatti causato 600mila morti nel Paese. Le stime sono ovviamente al ribasso, evidentemente, visto che parliamo di un Paese che in molte aree non ha neppure l’anagrafe, figuriamoci un sistema sanitario. Così dopo che la commissione del Senato di Brasilia, dopo un’indagine sulle misure imposte dal governo per limitare il contagio, ha votato, si è arrivati alla richiesta di rinvio a giudizio di Bolsonaro. Le accuse vanno dalla diffusione di notizie false, all’istigazione a delinquere fino all’immancabile uso improprio di fondi pubblici. Tutti questi comportamenti sono stati raccolti in un rapporto di più di 1.200 pagine. 

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Ma come si diceva nella premessa, di buone ragioni per pensare di non prendere una tale iniziativa ce n’erano talmente tante già da prima che non potremo, neppure volendo, metterle tutte in pagina. Non è solo lo spazio, ma pure il tempo che prenderebbe per poter rendere conto di tutto il male. Il Brasile, chi scrive lo ha frequentato per motivi professionali per circa sei anni, attraversandolo e toccando con mano la realtà locale, dal Cearà al Paranà. Un Paese di duecento milioni di abitanti di cui la metà sono ultra poveri. Non poveri, più che poveri. 

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Uno degli errori che si fanno quando di Brasile si parla da qui, è innanzitutto quello di dimenticarsi che stiamo parlando di una giovane e fraglie democrazia. Dal 1964 al 1985, infatti, il Paese verdeoro ha subito una dittatura durissima. Come tanti, troppi Paesi del Sudamerica. Studenti scomparsi, operai picchiati dentro e fuori dalle fabbriche, intellettuali silenziati. Le torture erano una prassi consolidata. Eliminare gli avversari politici un vizio che da certe parti non si sono mai tolti, i militari golpisti. Si è addirittura arrivati a imprigionare e uccidere uno dei volti più noti del giornalismo televisivo brasiliano, Vladimir Herzog, nel 1975. Si scatenò un putiferio, la prima protesta vera al Regime. 

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E se l’obiezione più immediata che si può fare leggendo, è che sono passati comunque anni, si dà il caso che Jair Bolsonaro è proprio la creatura delle deformazioni storiche del Brasile. Cosa che non fa nulla per nascondere. Tanto che anche quando parla da presidente in carica non nasconde nulla delle sue “convinzioni”. In ogni suo intervento, il personaggio è un uomo molto semplice e diretto. Quando si esprime viene fuori tutto il suo razzismo, la sua misoginia, una profonda omofobia che fanno proprio parte del background dell’alleanza politica che lo ha sostenuto. Il tutto condito da una spavalda esaltazione dell’impunità per i crimini della dittatura civile-militare dal 1964 all’85. 

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Bolsonaro è stato il più grande alleato di Donald Trump durante il suo settennato. Come riporta il quotidiano spagnolo El Pais in una inchiesta da poco pubblicata, «La sua elezione ha accelerato la conversione di parte della polizia in milizie, come si è reso evidente in diversi episodi degli ultimi due anni e nella recente adesione alle manifestazioni golpiste di questo 7 settembre». Giornata in cui il Paese ha rischiato di fare un salto indietro di quarant’anni. IMG_5668-2Giorno della festa dell’Indipendenza, il 7 settembre, infatti, proprio Bolsonaro ha convocato tutti i suoi sostenitori. Quelli che da noi chiameremmo, ma solo per ritrosia e semplicità, sovranisti. Se nelle manifestazioni precedenti si sono riversate per le strade migliaia di persone in protesta per il caro benzina, il taglio dell’elettricità, il sistema sanitario allo sbando e le incontrollabili morti per Covid, contro la repressione nelle favelas e contro la nuova legge sugli indigeni in Amazzonia, quel giorno è proprio lui a convocare i suoi. E l’esercito se le manifestazioni di protesta le ha represse, come d'abitudine, duramente, alcuni facenti parte delle forze armate si sono fatti sentire facendo dichiarazioni molto preoccupanti. Con tanto gusto retrò. 

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Quando si parla di milizie e polizia in Brasile, si parla di uomini armati e addestrati per uccidere. E lo fanno, ogni giorno, soprattutto nei luoghi più remoti e poveri ai margini delle grandi città. Sono centinaia in Brasile i bambini uccisi da proiettili vaganti, ci sono associazioni di madri che sono arrivate, finalmente, a organizzarsi per cercare di chiedere verità e giustizia per i loro bambini morti senza un minimo motivo. Perché si spara, poi che ci siano dei ninos che giocano a calcio e vengono colpiti, che probema mai sarà. Che tanto, se i bambini figli di poveri, i favelados, muiono in periferia, non è poi un gran problema. Il mondo ha scoperto questa pratica, quella di ammazzare senza problemi, i poveri ovviamente, solo nel 1982 perché quel giorno il Bope, la milizia più pericolosa che c’è, ha esagerato e ha sparato a una dozzina di bambini in pieno centro, di fronte la chiesa della Candelaria. E quando succede in centro a Rio la gente se ne accorge. Ma di sparare, non si è mai smesso. Nella massima impunità. Con Bolsonaro diciamo che hanno più che mano libera, testimoniato da quanto accaduto tra Natale e Capodanno del suo insediamento, dove le favelas di Rio sono state messe a ferro e fuoco. Tantissimi innocenti rimasti uccisi perché si trovavano nel posto sbagliato. Da quando c'è Bolsonaro, in un Paese in cui si spara con grande facilità, impennata la vendita di armi e di conseguenti omicidi, dopo che un'altra sua legge, di fatto ne liberalizza l'acquisto. 

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Tra le perle che ha regalato in situazioni pubbliche ne scegliamo qualcuna a caso, ma si potrebbe scrivere tranquillamente un libro solo per non perdersi neppure una di queste dichiarazioni che stiamo attenti a non iscrivere alla voce “gaffes”. Sulla vita personale, ad esempio: «Ho avuto quattro figli maschi, ma poi ho avuto un momento di debolezza, e la quinta è stata una femmina». Mentre compie funzioni istituzionali: « Non ti stupro perché sei molto brutta», disse riferito a una deputata al Congresso. Sull’omosessualità non ha dubbi: «Preferirei che mio figlio morisse in un incidente d'auto piuttosto che vederlo uscire con un ragazzo».  Sui neri, si esprime invece così: «Sono dei fannulloni. Credo che non siano più capaci nemmeno a riprodursi», riferendosi ai quilombolas, i discendenti neri degli schiavi africani ribelli. Così si pronunciò durante la campagna elettorale che ha portato alla sua elezione: «Potete essere sicuri che se ci arrivo, alla presidenza, non ci saranno più soldi per le ONG. Se dipenderà da me, ogni cittadino avrà una pistola a casa. Non un centimetro di terra sarà delimitato per le riserve indigene o quilombolas». E infatti è stato di parola. Proprio in questi giorni è entrata in vigore una legge che è una mazzata finale per l’Amazzonia intesa sia come foresta che come popolazione. E sulla campagna elettorale che di fatto è già cominciata, non ha dubbi: «Non si cambierà nulla in questo paese attraverso il voto, niente, assolutamente nulla. Sfortunatamente, le cose cambieranno solo con una guerra civile e facendo il lavoro che la dittatura militare non ha fatto. Ucciderne 30.000, o più se non basta. E se anche qualche persona innocente morisse, va bene lo stesso». 

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In un Paese dove non solo i neri delle favelas, ma anche intere comunità di Sem Terra che lottano anche per una casa, sono state brutalmente spazzate via da ignoti miliziani armati come solo chi va in guerra per uccidere, cose che accadono in Paranà come nel nord est, anche ai giorni nostri, fa specie che il messaggio di un veneto trapiantato in Brasile alla sua famiglia di origine, sia di questo tenore: «Depois de muitos anos de colonização italiana, colocamos um descendente na presidência da República». Che tradotto, e se le parole hanno ancora un'importanza, e il portoghese è una lingua che ricca, che offre tante possibilità: «Dopo molti anni di colonizzazione italiana, abbiamo posto un discendente alla presidenza della Repubblica». Non usa migrazione, ma colonizzazione, come ci fosse una linea di continuità tra quanto accaduto dopo la scoperta delle Americhe e oggi. Sta a vedere che l'invasione di cui spesso si parla quando si "parla" di immigrazione da noi, la stiamo facendo noi dall'altra parte dell'Oceano. 

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