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Lunedì, 29 Aprile 2024
Attualità Noventa Padovana

Otto anni fa una tragedia che ha sconvolto tutti

Il 19 febbraio 2016 Rosario Sanarico durante un'immersione nelle gelide acque del Brenta è rimasto incastrato in profondità all'altezza delle chiuse. La corsa in ospedale non ha sortito gli effetti sperati

E' il 19 febbraio del 2016, un venerdì. A Noventa Padovana sono in corso lungo il Brenta le ricerche del corpo di Isabella Noventa, uccisa la notte tra il 15 e il 16 gennaio. Il principale indiziato di reato dopo l'arresto ha ammesso per depistare le indagini di essersi liberato del corpo della segretaria di Albignasego gettandolo nelle gelide acque del Brenta. Le forze di Polizia che seguono l'indagine ottimizzano gli sforzi per recuperare il cadavere. Viene chiesto l'ausilio dei sommozzatori della Polizia di Stato. Da La Spezia alle prime luci dell'alba arriva una squadra di specialisti in questo genere di interventi. Per tutta la giornata si susseguono immersioni. Non è facile scandagliare il fiume. Appena sotto il letto del Brenta la visibilità è praticamente nulla. Si procede palmo a palmo. Niente, Isabella non si trova. 

L'ultima immersione

Arrivano le 16,40: il sole è quasi sparito, il cielo inizia a farsi nuvoloso e l'oscurità è dietro l'angolo. Rosario "Sasà" Sanarico e altri componenti della squadra di sommozzatori vogliono provare un ultimo intervento prima di chiudere la giornata di lavoro. Con il gommone gli eroi del fiume si portano a ridosso delle chiuse di Stra. Siamo in un lembo d'acqua a cavallo tra Noventa e i confini veneziani. Sanarico, che nel suo curriculum ha centinaia di immersioni, di risultati, di conquiste, di vittorie investigative, si immerge. Vuole restituire a Paolo Noventa il corpo di sua sorella Isabella. Mentre all'altezza del ponte di Marziano si sparge la voce che l'ex marito di Isabella ha accusato un lieve malore, alle chiuse alcuni cronisti si accorgono che qualcosa non sta funzionando come da copione. All'inizio non è allarme è solo preoccupazione. I colleghi di Sasà portano il gommone a riva, manca "Sasà". Iniziano a tirare con sempre maggiore concitazione le corde collegate al corpo del collega. Nessuna risposta: Sasà è incastrato sotto le chiuse e fatica a riemergere.

Il dramma

Passano i minuti, non è dato sapere quanti minuti di autonomia garantiscano le sue bombole di ossigeno. Da semplice apprensione, scatta l'allarme. Viene richiesto l'intervento dei Vigili del fuoco e del Suem 118. Nell'area a cavallo tra il Brenta e il Piovego, tra i comuni di Noventa, Stra e Vigonovo, si sparge la voce che è in atto un dramma. Ogni secondo, ogni centesimo di secondo potrebbe essere decisivo. Gli argini del Brenta diventano una tribuna, si radunano dieci, cento, centinaia di residenti, di cronisti, di curiosi di gente che ha capito che alla tragedia di Isabella Noventa si sta aggiungendo un nuovo dramma. L'area viene transennata: i rianimatori del Suem sono già pronti per prestare le prime cure al sommozzatore. Passano i minuti, sembrano ore. La gente attorno piange, prega, ha in mano il cellulare per riprendere quei momenti tanto drammatici quanto inaspettati e dolorosi. Alle 17,50 un commosso applauso rompe il silenzio di una sera diventata buia e tetra. "Sasà" è nelle mani preziose dei soccorritori. Provano a rianimarlo, lo stabilizzano, lo caricano su un'ambulanza. Ne segue una corsa all'ospedale di Padova con il suono delle sirene che ancora oggi rimbombano nel cervello. Si prega e si pensa al miracolo, si aspetta una telefonata che dia speranza, ma la notte porta solo brutte notizie. Il sommozzatore Rosario "Sasà" Sanarico, un uomo abituato a non mollare mai, a vincere anche nelle situazioni più estreme si è arreso. Ha detto addio alla vita terrena, ma il suo ricordo rimarrà indelebile nel cuore di tutti coloro che quel drammatico pomeriggio di sei anni fa hanno pianto e pregato sperando in un miracolo che non è mai arrivato.

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