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Occupazioni, la storia di Mattia Boscaro per difendersi dalle manganellate di via delle Melette

Oggi 12 novembre c'è stato il presidio a Palestro da parte degli antagonisti e di alcune realtà come il Quadrato Meticcio, il cui leader ha raccontato il suo passato

Presidio oggi 12 novembre per solidarizzare con gli occupanti di via Melette che mercoledì mattina sono stati sgomberati dalla polizia con la forza, dopo che i primi tentativi erano andati a vuoto (su un appartamento su 4). Occupazione e sgombero finiti con gli scontri prima nell'area del quartiere Palestro e poi sotto la sede Ater, che hanno provocato feriti sia tra loro che tra le forze dell'ordine. Aldilà di ogni parola e concetto di sostegno pronunciati in mattinata anche dai componenti di Adl Cobas che lo hanno organizzato, dove tutto si è svolto in tranquillità e con la polizia sempre a distanza, restano le testimonianze. Come quella di Mattia Boscaro, presidente dell'Asd Quadrato Meticcio, una realtà nata a Palestro che ha l'obiettivo di lavorare per l'inclusione, spesso riusendoci. Boscaro l'ha raccontata anche sulle sue pagine social

La testimonianza

«Chi difende situazioni come quella che si è venuta a creare in via delle Melette evidentemente non ha realmente a cuore il destino delle famiglie che, rispettando le regole e la legge, sono in attesa di avere un alloggio» riporta Boscaro, citando le dichiarazioni del presidente di Ater Tiberio Businaro per replicare: «Di fronte a queste dichiarazioni che chiamano in causa quanti hanno preso una posizione solidale e di condanna rispetto al violento sgombero della case occupate di via Melette, non posso esimermi dal dire la mia - dice Boscaro - .Aggiungi che non riesco a restare in silenzio di fronte alla becera operazione propagandistica di questo governo, che trasforma il diritto alla vita, di persone salvate in mare e il diritto alla casa, di giovani precari sbattuti in strada, in armi di distrazione di massa, per orientare strumentalmente l'indignazione di un'opinione pubblica bisognosa di bersagli facili su cui sfogare le proprie frustrazioni. Lo faccio a titolo assolutamente personale e sulla base di un insieme di esperienze che ho vissuto, avendo trascorso gran parte della mia esistenza, 40 anni, nelle case popolari, frequentando il Rione Palestro da 30 anni e vivendoci da oltre 20».

La storia (e i numeri)

« Dalla fine degli anni '80 ad oggi, nel solo rione Palestro in cui gestiva circa 600 alloggi, Ater ha venduto il 30% del suo patrimonio mentre gli alloggi lasciati sfitti a rotazione, hanno rappresentato una presenza costante nel tempo pari al 15% (oggi circa 50/60 alloggi lasciati vuoti) del patrimonio stesso - racconta Boscaro - .Cifre e percentuali in linea con la situazione del patrimonio Erp (edilizia residenziale pubblica) a livello cittadino, regionale e nazionale. A tutti i livelli, il motivo ufficiale con il quale si giustifica l'esistenza di centinaia di migliaia di alloggi pubblici vuoti, è la mancanza di fondi per provvedere alle ristrutturazioni ed al ripristino delle condizioni di assegnabilità degli stessi. Ma a mancare è la volontà politica di investire concretamente sul patrimonio esistente, anzi la tendenza è quella di una sua progressiva dismissione attraverso i piani vendita. Da oltre 30 anni si investe poco nulla sul patrimonio residenziale pubblico e di fronte alla grande opportunità rappresentata dalle risorse del Pnrr, i vari governi che si stanno succedendo alla guida del paese, hanno scelto di confermare questa tendenza destinando ad esso 0 euro. Avete capito bene 0 euro. Inutile quindi lamentarsi della mancanza dei fondi. Dunque, mentre sulla spinta della crisi e della crescita delle diseguaglianze, aumenta il numero delle persone che fanno richiesta di un alloggio pubblico (a Padova più di 2.000 hanno partecipato all'ultimo bando, ma le assegnazioni continuano a coprire il 5% delle richieste) la disponibilità degli stessi si va inesorabilmente riducendo. Per analizzare la genesi delle occupazioni abitative, non si può prescindere da questi dati. Queste ultime sono certamente un atto illegale, lo sa bene anche chi l'occupazione la compie, allo stesso tempo sarebbe interessante capire quale sia la legge che concede agli enti pubblici e alle aziende territoriali, l'autorizzazione a lasciare gli alloggi da loro gestiti (con i soldi dei contribuenti), vuoti ed in condizioni di abbandono per anni e anni, tanto da farli deteriorare e renderli inassegnabili, procurando un grave danno non solo alle famiglie bisognose di casa, ma alla comunità tutta. Quindi, accettare il discorso di quanti additano gli occupanti di casa per necessità, come dei criminali, abusivi, approfittatori, equivale a far propria la visione per cui la povertà è una colpa. Non prendere una posizione chiara su questo, significa accettare di appiattirsi su di un dibattito estremamente misero e provinciale, che non permette di inquadrare il fenomeno nella sua complessità e dimensione generale, molto più vasta di quanto si possa immaginare. Per fare un esempio, l'attuale sindaco di Barcellona, Ada Colau, è un ex occupante di casa».

«Ho occupato anche io»

«In questo senso, non ho nessun problema ad ammettere di aver partecipato alle prime occupazioni di case in quartiere Palestro nel 1997, da allora ne sono state occupate a decine nel corso degli anni ed in diversi cicli di lotta - prosegue il leader del Quadrato Meticcio - .Occupazioni per anziani, famiglie, studenti e precari, italiani e migranti, senza distinzione alcuna. L'obiettivo è sempre stato quello di garantire un tetto a chi viveva per strada o non poteva permettersi un affitto. Alcune lotte sono risultate vincenti e hanno portato alla regolarizzazione delle persone che occupavano senza titolo gli alloggi, in quanto è stato loro riconosciuto lo stato di necessità (anch'io sono tra questi), penso alla sanatoria del 1992 o ai successivi accordi. Io stesso sono stato occupante di una casa Ater dal 2001 al 2003. Provenendo da una famiglia numerosa e non riuscendo a trovare un impiego stabile, non mi potevo permettere di affittare un appartamento ai prezzi di mercato. In quegli anni la precarietà, oltre a caratterizzare i rapporti lavorativi (cambiavo anche 3 diversi lavori full-time in un mese) iniziava ad imporsi come nuovo elemento normativo dei comportamenti sociali delle persone, le cui conseguenze negative sono oggi pienamente dispiegate e ben visibili a tutti. Quindi per necessità, ma anche come forma di riscatto e resistenza a tutto questo, ho deciso di occupare. Non è stata una scelta fatta a cuor leggero e mi è costata una denuncia ed un lungo processo che si è concluso con una condanna in primo grado e con un'assoluzione in secondo grado, determinata dal riconoscimento dello stato di necessità in base al quale avevo agito. In seguito e sulla scorta della sentenza del tribunale, la mia posizione di occupante, insieme a quella di altre persone nella mia stessa condizione, è stata regolarizzata. Nello specifico fu proprio Ater a proporci dei regolari contratti di locazione, ma con un canone calmierato rispetto agli affitti del mercato immobiliare. A dimostrazione che il tema delle occupazioni si può e si deve affrontare per quello che è, ovvero la richiesta di una risposta ad un bisogno sociale e non un mero problema di ordine pubblico da gestire con i manganelli. Tutto questo per dire che occupanti non si nasce, ma si diventa, quasi sempre per necessità. Finché ci saranno politiche incapaci di valorizzare il patrimonio residenziale pubblico, mettendolo a disposizione in termini abitativi di quanti ne hanno bisogno e politiche che favoriscono il proliferare di alloggi e stabili pubblici vuoti, le occupazioni continueranno inevitabilmente a riproporsi. Continuare a piangersi addosso per la mancanza di fondi ha davvero poco senso, per provare a risolvere la crisi abitativa occorre sperimentare strumenti innovativi di intervento, uno fra tutti, l'autorecupero degli alloggi pubblici sfitti da ristrutturare, da parte di coloro che li richiedono, attraverso degli specifici bandi comunali. Gli inquilini stessi, siano nuclei familiari o studenti fuori sede, in forma individuale o consorziati in cooperative, potrebbero farsi carico delle spese di ristrutturazione degli alloggi, al fine di renderli abitabili/assegnabili e le spese sostenute potrebbero essere recuperate scalandole dai canoni di affitto. Sarebbe una modalità innovativa per riconfigurare il diritto alla casa, fondandolo sulla partecipazione diretta delle persone bisognose alla valorizzazione ed al mantenimento del patrimonio pubblico, inteso come bene comune»


 

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