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L'Udu consegna alla rettrice Mapelli un manifesto per contrastare la violenza di genere

Spiega Emma Ruzzon, senatrice accademica di Udu: «Le nostre richieste cercano di colmare un vuoto, non solo dal punto di vista educativo, proponendo insegnamenti obbligatori per ogni corso di studio su consenso e affettività, ma anche di supporto e ascolto di chi si trova in situazioni di violenza»

Nella mattinata di oggi, venerdì 24 novembre, nel giardino del dipartimento che frequentava Giulia Cecchettin l'Università ha installato due panchine rosse, simbolo contro la violenza sulle donne. Anche gli studenti sono intervenuti, rilanciando azioni e politiche concrete che l'ateneo dovrebbe mettere in campo per agire su un problema sistemico.

Udu

«Sono state installate queste due panchine rosse per Giulia e per tutte le donne vittime di violenza come simbolo del posto occupato da donne che ora non ci sono più. Queste panchine rosse ci devono ricordare ogni giorno che cosa è successo a Giulia e quando sia ingiusto e sbagliato. La radice della violenza sulle donne è patriarcale, culturale e strutturale e riguarda tutte e tutti. Abbiamo bisogno di un profondo cambiamento culturale che deve partire anche dagli spazi di istruzione, con interventi che siano strutturali. Come ha detto il padre di Giulia, dobbiamo andare anche oltre i simboli: c'è la necessità e l'urgenza di introdurre un'educazione obbligatoria per tutte e tutti al consenso, alla sessualità e all'affettività con degli esperti nel settore in tutti i luoghi di istruzione. Assistiamo ad un femminicidio ogni 3 giorni, non si può più rimandare, agiamo e facciamo in modo che si arrivi veramente a parlare dell'ultima» dichiara Giada Aureli, rappresentante degli studenti con Udu a Ingegneria Biomedica.

Manifesto

Aggiunge Emma Ruzzon, senatrice accademica di Udu: «Finita l’inaugurazione delle panchine abbiamo consegnato alla Rettrice il nostro manifesto. Abbiamo raccolto tutte le proposte che abbiamo fatto all’ateneo negli ultimi anni sul tema della violenza di genere, il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scosso molto la nostra comunità, quello che serve ora è reagire. L’università deve farsi portatrice di un cambiamento culturale e sociale profondo, mettendosi prima di tutto in discussione e chiedendosi che cosa fa realmente per chi è vittima di violenza di genere, di che strumenti si è dotata finora e se questi bastano. Mettersi in discussione è un atto coraggioso, ma credo che la nostra università abbia le capacità per farlo. Le nostre richieste cercano di colmare un vuoto, non solo dal punto di vista educativo, proponendo insegnamenti obbligatori per ogni corso di studio su consenso e affettività, ma anche di supporto e ascolto di chi si trova in situazioni di violenza. Vogliamo centri antiviolenza all’interno dell’università, dobbiamo essere in grado di rispondere realmente quando episodi così gravi accadono all’interno del contesto accademico o coinvolgono studenti. Chiediamo anche consultori all’interno dell’università, che siano accompagnati da un forte ampliamento del SAP, perchè abbiamo bisogno di stare bene all’interno dei luoghi del sapere, che vuol dire necessariamente anche sentirci sicure di attraversarli».

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