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Venerdì, 19 Aprile 2024
Padova da Vivere

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A cura di PadovaOggi

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"Generazione va, generazione viene", video installazione al museo della Padova ebraica

Il 27 gennaio 1945 i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz si spalancavano davanti ai fanti del maresciallo sovietico Ivan Koniev, accogliendoli come a dire "Benvenuti all'inferno". Sei milioni di ebrei, per non contare gli zingari, gli omosessuali e i dissidenti politici, trovarono la morte durante la "Soluzione finale" a partire dalla conferenza di Wansee il 10 gennaio 1942 fino al maggio del '45, milioni e milioni di uomini, donne, anziani e bambini che l'iconografia ricorda in mucchi di scarpe e di occhiali, cataste di denti d'oro, treni merci, forni crematori e pile di cadaveri scheletrici, retaggi di un'orgia sadica frutto di un'isteria di massa troppe volte rigurgitata dal basso ventre di un'Europa patria delle contraddizioni più orrende.

Una cosa, però, si stenta a ricordare: la vita prima di quella tragedia. Le centinaia di anni di storia di una comunità, quella ebraica, frammentata e parte di ogni grande città europea dalla diaspora ad oggi, quella vita complessa e difficile ricca di bellezza e di tradizione che si tentò di spazzar via in poco più di tre anni, e la città di Padova non fa certo eccezione. Non basta il Ghetto, quartiere perla di Padova mai come oggi vivo, non i cimiteri ebraici che solcano il tessuto urbano con il loro candore esotico, vissuti come parte integrante della città e forse dati per scontati: ci vogliono le storie, quelle vite che hanno segnato gli annali cittadini, nomi che forse molti conoscono ma che non associano a una comunità.

Testimonia il silenzioso contributo sociale e culturale della comunità ebraica a Padova la videoinstallazione "Generazione va, generazione viene", che da una manciata di mesi trova posto nell'esedra del museo della Padova ebraica di via Delle Piazze 26, cinquanta minuti per dieci video incrociati realizzati dal cineasta padovano Denis Brotto e che parlano delle vite di altrettanti personaggi storici cittadini la cui fede ebraica è una connotazione anagrafica più che sociale di fronte al contributo da loro apportato a partire dal 1400.

Personalità come Jeudah Minz, Meir Katzenellenbogen, Isaac Abravanel, Samuel David Luzzatto, Moshè Chayym Luzzatto, Moshè David Valle, fino ai più recenti Leone Romanin Jacur, Giacomo Levi Civita, Leone Wollemborg e Vittorio Polacco. A interpretarli, una rosa di altrettanti attori, alcuni ben noti agli appassionati di cinema e teatro padovani, come Mirko Artuso, Vasco Mirandola, Valerio Mazzucato, Loris Contarini, Maria Grazia Mandruzzato, Andrea Pennacchi e Giancarlo Previati, accanto a Olek Mincer, Michele Modesto Casarin, Aristide Genovese e Piergiorgio Piccoli. Lo sfondo, ancora e sempre lei, Padova, antica e moderna, stanca e vitale, città di alte volte e mattoni rossi che trasudano storie tanto diverse fra loro da costituire un intero universo; storie di cui non è possibile stancarsi, e che non si possono proprio dimenticare. 
 

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