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Venerdì, 19 Aprile 2024
Padova da Vivere

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A cura di PadovaOggi

Il vero Jacopo Ortis: vita e morte del giovane padovano che ispirò Foscolo

Quando si pensa ai debiti delle Ultime lettere foscoliane nei confronti di Padova e del suo territorio vengono in mente subito i Colli Euganei, la visita alla Casa del Petrarca ad Arquà, le descrizioni del paesaggio collinare deformato dal sentire romantico dello scrittore. Pochi si ricordano però che entro le mura cittadine aveva abitato il “vero” Ortis. Certo, il romanzo è “liberamente ispirato” dal celeberrimo Werther di Goethe. Eppure il nome, e forse anche la scintilla per iniziare a scrivere, si devono a tale Girolamo Ortis, un giovane dal destino sfortunato, che colpì l’immaginazione dello scrittore. 

IL COLLEGIO PRATESE. Per scoprire dove viveva e cosa faceva questo Girolamo dobbiamo andare all’inizio di via Cesarotti. Oggi il doppio loggiato del palazzo al civico 7 ospita la Caserma Barzon, ma fino al 1890 era la sede di uno dei tanti collegi cittadini nati a sostegno degli studenti universitari meno abbienti, il Collegio Pratese. Fu fondato addirittura nel 1390 dal cardinale Pileo da Prata, ed ospitava sedici studenti, equamente distribuita tra i provenienti dalla provincia friulana, veneziana, trevigiana e padovana. Durante i cinque anni di permanenza ogni studente aveva diritto a10 scudi annui, ad una stanza, alla servitù pagata (ah però…) e all’uso della cucina. Venivano scelti dal vescovo di Padova assieme ai capofamiglia degli Zabarella e Lion e del priore del collegio. 

IL SUICIDIO DI GIROLAMO. È qui che alloggiava il nostro Ortis, ed è nella sua stanza che prese l’estrema decisione – pare in un momento di delirio da febbre – di togliersi la vita. Il fatto, di cui ci resta la cruda cronaca dell’abate Gennari, destò molto scalpore in città: in data 29 marzo 1796 l’abate registra: «Questa mattina nel collegio pratense si trovò immerso nel proprio sangue per due ferite un giovane friulano, scolare di medicina del quarto anno, le quali ferite si diede egli stesso con un coltellino non si sa da quali cagioni mosso». Quando Foscolo pubblicò il suo Ortis, l’associazione fu immediata: «Io era in Padova – scrive il 29 settembre 1808 – ma (…) non mi era toccato di vederlo mai: ammirai bensì nel mio secreto la filosofica tranquillità d’un giovane che visse con modestia, e morì con coraggio. Sia forza natura o educazione d’avversità, io sin dalla prima gioventù ho meditato sempre sul suicidio (…) così dipingendo la mia vita come io la vedeva, e la mia morte come la meditava, sotto il nome di Jacopo Ortis illudeva me e gli altri, onde, (…) tutti si credevano a principio di leggere gli autografi del giovane ammazzatosi a Padova». 

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