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Padova tra misteri e leggende: il fantasma della Torlonga

Si narra che nella famosa torre del castello carrarese vi sia il fantasma di una delle vittime di Ezzelino, un suo nemico, che dopo essere stato torturato lungamente venne imprigionato nella Torlonga fino a quando morì di stenti o per le sofferenze derivate dalla pratica della tortura subita.

SARPEDONE. È stato avanzato a questo proposito il nome di Sarpendone, che era un valoroso guerriero, uno dei protetti di Ezzelino, che ne ammirava le doti bellicose. Era un fidato di Ezzelino, e spesso i due avevano combattuto fianco a fianco. Sarpendone però aveva ben altre doti, e di questo se ne accorse soprattutto Selvaggia, figlia naturale di Federico II di Svevia (o forse cugina di Bianca Lancia, sua amante e madre di Manfredi), e soprattutto moglie di Ezzelino, che la sposò nel 1236, garantendosi così ottimi possedimenti terrieri e soprattutto una delle vie commerciali più importanti del periodo, la Val d’Adige. Selvaggia si invaghì di Sarpendone, lo sedusse, e quando Ezzelino lo scoprì dapprima punì la moglie, quindi imprigionò l’uomo nella Torlonga. Dopo averlo torturato per fargli confessare l’atto commesso con Selvaggia, Ezzelino fece mutilare il rivale nella parte virile, e quindi lo gettò nelle prigioni, lasciandolo morire di stenti e soprattutto per le gravissime ferite subite.

LA NOTTE DELLE STREGHE. Questa dunque è la leggenda del fantasma della Torlonga, ma il luogo si presta ad altri strani fenomeni. Uno di questi, ad esempio, è quello che si verificherebbe la notte del 23 giugno, festa di San Giovanni (che è notoriamente il giorno dedicato alle streghe).

PRIGIONIERI. Si dice infatti che si odano grida spettrali provenire dalle antiche prigioni, e si veda un lumicino che arde sulla sommità della Torlonga, lumicino che scende poi velocemente lungo il corpo della torre per scomparire nell’acqua del canale sottostante. Cosa rappresenta quel lume? Forse un prigioniero della Torlonga che, per sfuggire alle torture e alle cattiverie di Ezzelino, preferì suicidarsi. Si dice poi che dalle oscurità della torre e del caseggiato ad esso connesso salgano spesso delle urla e dei lamenti, che richiamano forse quelli emessi dai tanti prigionieri di Ezzelino e degli stessi reclusi nelle antiche prigioni padovane che rivendicano così la loro libertà.

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