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Giovedì, 25 Aprile 2024
Padova da Vivere

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A cura di PadovaOggi

Ciclabili e "patologie", le cinque piste per bici peggiori di Padova

Padova, si sa, è una città "biker friendly", ossia attrezzatissima per gli spostamenti in bicicletta, con ben 162 chilometri di piste ciclabili realizzate nel solo comune cittadino. In effetti, la bicicletta a Padova è uno dei mezzi di trasporto più usati, il che mette la città nell'esigenza di attrezzarsi al meglio per venire incontro alle esigenze di una così nutrita parte di cittadinanza. Tanti sforzi sono stati fatti per adeguarla alla mobilità ciclistica, ma siamo sicuri che ogni pista ciclabile rispecchi davvero le esigenze di un ciclista? Già, perchè una cosa è la statistica (quante centinaia di migliaia di euro investiti dalle amministrazioni, quanti chilometri di piste ciclabili, quanta utenza, eccetera), altra è il livello di danno fisico che determinate strutture causano a chi le percorre. Proviamo a fare un esercizio di satira e di fantasia, e immaginiamo quali patologie potrebbero occorrere, nel peggiore dei casi, a chi percorra le cinque piste ciclabili peggiori di Padova.

NAUPATIA - VIA SAETTA. "Ah, la naupatia", per parafrasare Fabio De Luigi. Ma, volendo essere teneri con chi di termini medici non ne sappia poi molto e che non abbia a disposizione immediata Wikipedia come chi scrive, dicesi naupatia il comunissimo mal di mare. La nausea incontrollata legata ad un ritmico ondeggiare, però, non è prerogativa dei vasti oceani: potrà averne un assaggio, infatti, chi percorra la pista ciclabile di via Saetta. Un tempo meravigliosa, liscia come uno specchio, spaziosa e pulita, la celeberrima via ciclabile arcellese si è nel tempo trasformata in un vero e proprio mare in burrasca di mattonelle, complici i molti pini marittimi che ne ornano i margini in alcuni tratti. Le radici dei maestosi alberi, infatti, hanno spinto in alto a tratti intere tessiture di mattonelle, creando là, dove prima si estendeva un sicuro e confortevole percorso, una rotta inesplorata e perigliosa degna dei grandi navigatori dei XV secolo. Consigliato un antiemetico.

CLAUSTROFOBIA - VIA ORSINI. Questa simpaticissima stradina che costeggia la caserma Prandina, nel suo tratto da via Palestro a corso Milano, è stata oggetto di un'organizzazione derivante forse da un'interpretazione quantomeno bislacca dell'espressione "Miracolo del Nordest", ossia fare il più possibile con meno risorse possibile. Infatti via Orsini è in quel tratto mai più larga di cinque o sei metri, eppure all'interno della sua carreggiata trovano spazio due corsie automobilistiche e una disgraziatissima pista ciclabile, il tutto racchiuso fra le mura storiche a sinistra e quelle della caserma a destra. Però, ovviamente, chi paga il prezzo maggiore in termine di "riduzione delle risorse" è proprio la pista ciclabile, che nel suo tratto più spazioso dev'esser larga una quarantina di centimetri, cosa che la renderebbe adatta al tricilo del bimbo luccicante di Shining più che a un normale ciclista adulto, se non fosse che, la pazzesca velocità raggiunta dalle autovetture in quel tratto, evidentemente prese da una sorta di sindrome da Nascar Racing, impone di sconsigliare il transito in quel tratto anche al più massiccio e minaccioso cultore delle due ruote. Ben che vada, la più tenera patologia che vi si può sperimentare è la claustrofobia, costretti come si è fra un pericolo mortale alla propria destra e un muraglione militare alla sinistra. Vietato il transito se sprovvisti di psichiatra.

SCHIZOFRENIA - VIA ARIOSTO, VIA GATTAMELATA. Veniamo ora a uno dei tratti ciclabili più geniali del territorio comunale. Venendo da piazzale Stanga e procedendo in via Ariosto verso via Gattamelata, semplicemente la pista ciclabile non c'è. Si procede fra le macchine parcheggiate sulla destra e le automobili che sfrecciano sulla sinistra. Fin qui nessun problema: in un mondo morbosamente attaccato al mercato petrolifero questi sono rischi che un ciclista deve mettere in conto. Quando però, all'altezza del ponte di via Ariosto, una sontuosa pista ciclabile di quattro corsie fra destra e sinistra, rialzate rispetto alla strada di una decina di centimetri, appare dal nulla, il cuore si riempie di gioia e di una rinnovata fede nell'umanità. Si comincia così a pedalare nuovamente di buona lena, felici di quella ritrovata sicurezza. Ma, pochi secondi dopo, la situazione cambia ancora repentinamente. Se vuole evitare di spappolarsi il naso contro un platano, infatti, il ciclista è costretto subito dopo il ponte a compiere una pericolosa gimcana sulla sinistra, catapultandosi nuovamente a livello strada su una pista cicliabile ricavata riducendo da due a una le corsie di una strada che per quarant'anni è stata in precedenza a due corsie per senso, e che nel cuore degli automobilisti lo è ancora. Qualche decina di pedalate col fegato in gola e il cuore oltre l'ostacolo, e poco prima del'incrocio con via Gattamelata un nuovo ponte apre a una nuova sfavillante pista ciclabile sicurissima e comoda, che però, ancora, dura si e no dieci metri, per poi perdersi in una specie di tratturo mezzo asfaltato e mezzo sterrato, disseminato di pozze e di tombini che accompagna il ciclista ormai sull'orlo della crisi mistica fino alla rotonda di via Giustiniani. Il lato positivo è che a quell'altezza c'è l'ospedale, quindi.

ALCOLISMO - PONTE DI TENCAROLA. Pochi conosceranno questo tratto, ma è uno dei più belli, ovviamente per chi goda della comicità trash. Venendo, per intenderci, dai Colli Euganei e percorrendo la Statale 250, meglio nota a Tencarola come via Padova, si viene da una lunga frequentazione con una delle più belle e sicure piste ciclabili della provincia. Lunghissima, organizzatissima, confortevole e sicura, forse un po' tortuosa ma estremamente gradevole. Orbene, giunti al ponte blu di Tencarola, la pista ciclabile segue uguale a se stessa e sempre bellissima, passando il ponte in una corsia dedicata e delimitata, con una vista fiume davvero gradevole, per cui vien naturale girare lo sguardo verso sinistra per godersi quello scorcio da cartolina. Errore madornale: un metro e mezzo dopo il ponte, infatti, la pista ciclabile finisce improvvisamente in un dislivello di un metro e mezzo, che scende in una rampa molto ripida, che fa acquistare notevole velocità in poco spazio e che si infila in una specie di un imbuto fra due muri, che di lì a una manciata di metri conduce direttamente addosso alle vetrine di un bar. Ma, si sa, a uno sprizzetto non si dice mai di no.

LABIRINTITE - VIA SORIO. Questo bellissimo tratto di pista ciclabile, che venendo da Brusegana si snoda dalla rotonda del cavalcavia alla diramazione di via Castelfidardo, è qualcosa di veramente sfizioso. Di per sé sarebbe anche sicura: rialzata, separata dalla strada da un alto cordolo e persino da un'aiuola nel suo tratto iniziale, ben lastricata, sulla carta questa pista ciclabile sarebbe perfetta. Se non fosse per le decine di alberi che crescono esattamente in mezzo alla pista. Data, poi, la presenza nell'aiuola divisoria, di cespugli frondosissimi potati in modo impeccabile dal lato della strada ma selvaggi come la foresta pluviale da quella della pista ciclabile, il malaugurato amante delle due ruote è costretto a uno zig zag continuo per evitare ora il tronco, ora di grattuggiarsi contro gli sterpi, ora di inchiodarsi su una delle crepe che le radici degli alberi hanno creato. All'altezza di via Castelfidardo, al ciclista medio la testa gira come il cestello della lavatrice. Consigliato a chi ama i tagadà.
 

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