Sgominata banda di usurai legata ai casalesi con base a Padova
L'operazione, condotta dalla Dia di Padova con i carabinieri di Vicenza, ha portato a 27 arresti all'interno dell'organizzazione camorristica che prestava denaro a tassi usurai del 180% annui a società venete. Come base la padovana Aspide
"È stato estirpato un cancro mafioso dall'imprenditoria sana del Veneto", ha sottolineato il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino commentando i 29 provvedimenti restrittivi, 27 gli arresti, tra Veneto, Lombardia, Sardegna, Campania e Puglia, con i quali è stata sradicata una banda legata ai casalesi.
L'operazione, condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Padova e dai carabinieri di Vicenza, ha portato alla luce un'organizzazione camorristica che prestava denaro a tassi usurai del 180% annui a società venete, legate al mondo dell'edilizia e in crisi finanziaria, con il preciso scopo di impossessarsene.
L'organizzazione faceva perno sull'Aspide, una società di Selvazzano Dentro con sede operativa in via Lisbona, nella zona industriale di Padova, specializzata nel recupero crediti e finalizzata all'erogazione di prestiti al pubblico, utilizzata come schermo legale. Inoltre, l'organizzazione aveva messo le mani sulle imprese di tutte le province venete, esclusa Venezia, e aveva messo una base importante in Lombardia e stava investendo in Slovenia e Romania.
A capo di Aspide c'era Mario Crisci, 33 anni, di Napoli, detto "il dottore" che, secondo gli inquirenti, ''dirigeva con determinazione e spietatezza le azioni'' avvalendosi di due luogotenenti, entrambi di Napoli, Massimo Covino (37) e Antonio Parisi (43), quest'ultimo con un passato da 416 bis e particolarmente vicino ai casalesi.
Gli imprenditori si rivolgevano ad Aspide per crisi di liquidità e per la difficoltà di accesso al credito istituzionale. Se c'erano ritardi nel pagamento, scattavano brutali pestaggi. È il caso di un imprenditore edile padovano, costretto a muoversi con una stampella, usata come arma per percuoterlo dai due picchiatori che l'hanno ammonito dicendogli: ''La prossima volta questa non ti servirà a nulla''. Tutto questo davanti ai suoi operai. Il figlio dell'uomo è stato poi sequestrato per indurlo a scendere ai patti stabiliti dal clan.
L'organizzazione, armata - due le pistole sequestrate nel blitz, oltre a cocaina e 40 mila euro in contanti -, gerarchicamente strutturata con distinzione di ruoli operativi, erogava crediti a tassi altissimi alle vittime, sino a soffocarle, costringendole a cedere le proprie attività economiche (imprese, società e beni valutati nell'ordine di svariati milioni di euro) o, talvolta, a procacciare per la struttura criminale nuovi "clienti" nel tentativo di arginare il proprio debito cresciuto vorticosamente in breve tempo.