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Cronaca Montà / Via Due Palazzi

Corruzione e spaccio in carcere Arrestati un avvocato e 6 agenti

L'operazione della squadra Mobile di Padova, denominata "Apache", all'alba di martedì. Oltre 30 le perquisizioni anche nel Due Palazzi. Convolte varie guardie penitenziarie. 14 le misure cautelari eseguite

Spaccio di sostanze stupefacenti e corruzione di pubblici ufficiali. Sono questi i reati contestati ai destinatari delle 14 misure cautelari emesse dal gip del tribunale di Padova Mariella Fino a conclusione di una vasta indagine, denominata "Apache", condotta nell'ambito della realtà carceraria dal sostituto procuratore Sergio Dini ed eseguite dall'alba di martedì dalla polizia di Padova con la collaborazione della polizia penitenziaria. Tra gli arrestati vi sono 6 agenti di polizia penitenziaria, in servizio nella locale casa di reclusione, e un avvocato. Altri 9 agenti sono indagati per i medesimi reati.

IL VIDEO: Le immagini del blitz e quelle che incastrano la guardia

PERQUISIZIONI AL DUE PALAZZI. La squadra Mobile euganea, guidata dal vice questore aggiunto Marco Calì e coordinata dal Servizio centrale operativo e dalla Direzione centrale servizi antidroga, ha eseguito le ordinanze con l’ausilio di un centinaio di agenti, tra cui i colleghi di Belluno, Lecce, Matera, Napoli, Rovigo,  Salerno, Torino, Trieste, Venezia, Varese, Verona, Vicenza e del commissariato di Porto Tolle, nel Rodigino. Contestualmente, con l’ausilio del reparto Prevenzione crimine di Padova, sono state eseguite oltre 30 perquisizioni anche negli edifici della casa di reclusione euganea Due Palazzi, a carico di vari soggetti coinvolti a vario titolo nell’indagine, tra cui agenti di custodia.

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DROGA, TELEFONINI E ALTRI FAVORI. Le indagini, cominciate nell'agosto del 2013, hanno consentito di smantellare un sistema di consegne di droga, cellulari ed altre utilità all'interno del carcere. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, i sei agenti della polizia penitenziaria del Due Palazzi, in concorso con familiari ed ex detenuti, introducevano in carcere droga (eroina, cocaina, hashish, metadone) e materiale tecnologico vietato (telefonini, schede sim, chiavette usb) ai detenuti.

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IL CAPO. Gli inquirenti inizialmente stavano facendo luce su un traffico di stupefacenti gestito da cittadini magrebini a Padova che contattavano connazionali in Marocco per organizzare ingenti importazioni di hashish. Tra i contatti c'era anche un marocchino pregiudicato per stupefacenti che nella prima metà del 2013 era recluso nel carcere di Padova. Durante le comunicazioni intercettate spiccò il nome e cognome di un italiano di Padova associato a un codice numerico di 10 cifre, che in seguito gli inquirenti decifrarono come quello seriale di un versamento alla Western Union a favore di un italiano residente a Mirano, nel Veneziano, Pietro R., 53enne originario del Napoletano, assistente capo della polizia penitenziaria, in servizio nella casa di reclusione di Padova come capo posto del blocco 5. In sostanza era stato intercettato solo uno dei tanti versamenti effettuati a favore di quest'ultimo o di sua moglie, quantificati, nel complesso del periodo di durata delle indagini, in 30mila euro, con versamenti dai 200 agli 800 euro per volta. La guardia, soprannominata anche "capo" o "uomo brutto", aveva organizzato all'interno del carcere una multiutility a favore dei detenuti anche in regime di massima sicurezza, riuscendo a fornire eroina, cocaina, hashish, hard disk, chiavette usb, sim, cellulari, cacciaviti e pinze. In qualità di capo posto riusciva a muoversi nel carcere con maggiore autonomia recapitando in cella, anche di notte, quanto accordato col detenuto. Per lui è scattato l'arresto in carcere.

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I COLLEGHI. Il "capo" poteva vantare la complicità di vari colleghi che prestavano servizio in carcere in particolare: Luca B., detto "u' cafone", 38enne originario di Foggia ma residente a Padova (arrestato in carcere); Roberto D.P., detto "kelos", 45enne originario di Chieti ma residente ad Abano, sposato (finito agli arresti domiciliari); Giandonato L., detto "bambolotto", 31enne originario di Matera ma domiciliato a Vaccarino di Piazzola sul Brenta (finito agli arresti domiciliari); Angelo Raffaele T., detto "condor", 35enne originario di Venosa ma residente ad Albignasego (ai domiciliari); Paolo G., detto "il poeta", 40enne nato a Cassino ma residente a Padova (ai domiciliari). Nel corso delle indagini sono state riscontrate varie cessioni in carcere.  Gli agenti coinvolti facevano affari non solo con gruppi di magrebini, ma anche con detenuti per associazione di stampo mafioso (un barese appartenente al clan Strisciuglio e un napoletano del clan Licciardi-Bocchetti operante a Secondigliano, nel Napoletano), con esponenti della criminalità albanese ed italiana locale.

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L'AVVOCATO E GLI ALTRI. Agli arresti domiciliari è finita anche l'avvocato Michela M., 50enne originaria del Veneziano e residente a Rovigo, secondo gli inquirenti avrebbe pagato in più occasioni il "capo" del gruppo di secondini per fare consegne illecite ai propri assistiti. Nell'ambito dell'indagine sono stati raggiunti dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere anche: Karim A., detto "kimu", 26enne tunisino domiciliato a Padova; Mohamed E.I. detto "Giovanni" o "cioccolato", 44enne marocchino domiciliato a Thiene, pluripregiudicato per droga; Mohamed E.S., 28enne domiciliato a Torino; Mohamed T., 41enne tunisino già nel carcere di Verona. Ai domiciliari, invece, sono finiti anche: Giorgio C., 71enne triestino che, secondo quanto si è appreso, avrebbe regolarmente inviato denaro a un parente rinchiuso a Padova; Amal E.A., 22enne marocchino residente a Legnago; Edoardo M., 33enne residente a San Donà di Piave, nel Veneziano. Infine, nel corso delle perquisizioni eseguite martedì, è finito in manette Giuseppe S., 38enne originario di Modica, ma residente a Campolongo Maggiore, nel Veneziano, in quanto trovato in possesso di circa 3 chilogrammi di marijuana.

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