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Cronaca

Politiche di integrazione dei rom del campo nomadi di via Longhin

Opera Nomadi di Padova: "L'inserimento lavorativo passa attraverso la valorizzazione dei mestieri tradizionali, come il supporto alla creazione di cooperative di raccolta e riciclo di materiale ferroso, e attraverso un aiuto nell'ingresso in circuiti di lavoro "normali", come le cooperative di pulizie o di sgomberi, dove sinti e rom serbi sono assunti con successo"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PadovaOggi

I recenti fatti di cronaca che riguardano alcuni residenti del villaggio monoetnico di via Longhin a Padova stanno riproponendo all'attenzione pubblica il tema delle politiche di integrazione delle comunità rom. In particolare si sta dibattendo circa l'efficacia di un investimento di ingente portata per un proficuo inserimento di queste famiglie nella società padovana.

L'Opera Nomadi di Padova ripete da anni che il progetto di riqualificazione del campo di via Lungargine San Lazzaro non serve a migliorare l'integrazione nel territorio delle famiglie che vi abitano. L'iniziativa era già in partenza fallimentare; per questo la nostra Associazione ha rifiutato la gestione dell'area: i soldi dei contribuenti vanno investiti bene!

L'alternativa proposta era semplice: individuare alcuni terreni dislocati sul territorio dove le famiglie avrebbero vissuto gestendo autonomamente la loro esistenza. In questo modo sarebbe stato davvero possibile favorire una reale integrazione, smascherando chi non vuole cambiare, come è successo per molti che già vivono nelle microaree.

Il progetto comunale attuato presso il campo nomadi di via Lungargine San Lazzaro non ha le caratteristiche integrative del progetto del Villaggio della Speranza, dove si sono ottenuti risultati tanto positivi che l'Amministrazione comunale stessa ha ritenuto di non dover più spendere un euro in progetti di accompagnamento sociale o di integrazione lavorativa.

L'iniziativa del laboratorio di sartoria per le donne rom sembra l'ultimo disperato tentativo di rimettere a posto le cose. Insegnando alle donne un mestiere che già in parte conoscono e che non ha sbocchi di alcun tipo nel mercato del lavoro di oggi, si ritiene davvero di poter migliorare qualcosa?

Le proposte della nostra Associazione sono rimaste sempre inascoltate: l'inserimento lavorativo passa attraverso la valorizzazione dei mestieri tradizionali, come il supporto alla creazione di cooperative di raccolta e riciclo di materiale ferroso, e attraverso un aiuto nell'ingresso
in circuiti di lavoro "normali", come le cooperative di pulizie o di sgomberi, dove sinti e rom serbi sono assunti con successo. Queste iniziative possono essere messe in pratica solo se gli utenti motivati escono da una situazione abitativa ghettizzante come quella di un campo nomadi, noto ad aziende e cooperative per i numerosi fatti di cronaca. Se attuate senza una razionale politica di integrazione abitativa, risultano un inutile spreco di denaro pubblico.

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