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Cronaca

Vedere la Padova underground senza spostare un granello di terra, la ricerca

Pubblicato dalla rivista «Geoarchaeology» lo studio del team di ricerca padovano che permette di tracciare mappe archeologiche dettagliate

“The modeling of archaeological and geomorphic surfaces in a multistratified urban site in Padua, Italy” è il titolo dell’articolo pubblicato sulla rivista «Geoarchaeology» dal team di ricerca del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova che vede il Professor Paolo Mozzi come primo firmatario. Sulla sola base dei dati di scavo e attraverso una loro interpolazione è possibile conoscere lo sviluppo di una città e produrre modelli tridimensionali per quantificare e mappare i depositi archeologici. Grazie alle analisi ed elaborazioni svolte durante la ricerca (Articolo), supportata scientificamente da Francesco Ferrarese del Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell'Antichità di Padova, Mariolina Gamba della Soprintendenza archeologica del Veneto e Francesca Veronese del Comune di Padova, Musei Civici - Museo Archeologico, è stato possibile riconoscere i settori in cui la città di Padova si è maggiormente sviluppata nei diversi momenti della sua storia antica, fornendo nuove chiavi interpretative per la ricostruzione storica e delle relazioni con il contesto paleoambientale.

LO SCOPO.

«La nostra ricerca geoarcheologica del sottosuolo di Padova» dice Paolo Mozzi «ha permesso di accrescere le conoscenze sulle prima fasi e sullo sviluppo della città antica dalla protostoria all’età romana, definendo anche le relazioni che intercorrevano tra insediamenti e reticolo fluviale, ma anche di produrre modelli tridimensionali per quantificare e mappare i depositi archeologici che costituiscono il grande mound archeologico - la “collina archeologica” - del centro storico della città, alto alcuni metri rispetto alla pianura alluvionale circostante». In una prima fase sono stati analizzati tutti i dati editi e inediti relativi agli scavi archeologici svolti negli scorsi decenni nel centro storico della città. Si tratta per la quasi totalità di scavi archeologici di “emergenza”, svolti cioè in concomitanza di cantieri edili (es. per la costruzione di garage e scantinati sotterranei o fondazioni di edifici) o per la messa in posa di infrastrutture sotterranee (es. tubazioni, fognature, sottoservizi). Una ricchissima mole di dati che a Padova è disponibile grazie alla particolare cura della Soprintendenza archeologica, all’elevata qualità scientifica di molti degli scavi intrapresi da ditte specializzate e all’attenzione del Comune che ha inserito elementi di tutela del patrimonio archeologico già nel piano regolatore generale del 1989.

LO SCAVO.

«Sulla base dei dati di scavo, per ognuno di questi “momenti” sono state localizzate quelle strutture archeologiche che potevano dare indicazioni relative alla quota del piano topografico cioè il “piano di vita” della città, come il suolo sepolto della pianura alluvionale, le strade, i focolari, le pavimentazioni e le zoccolature dei muri degli edifici» continua Paolo Mozzi «Per semplificare, elementi che corrispondevano alla superficie su cui camminavano, mangiavano e dormivano gli antichi abitanti di Padova». Oltre alla localizzazione geografica di tali strutture archeologiche, era indispensabile avere le loro quote sul livello del mare. Per questa ragione sono state selezionate e inserite all’interno di un sistema informativo geografico (GIS – Geographic Information System) 117 strutture archeologiche chiave, dotate ciascuna di coordinate geografiche e quote s.l.m.. Le altimetrie della superficie attuale sono state derivate da rilievo con laser scanner aereo (LiDAR – Light Detection and Ranging) ad alta risoluzione. Interpolando i punti quotati relativi a ciascun periodo storico, attraverso l’applicazione di opportuni algoritmi, si è ricostruito l’andamento generale - il modello digitale del terreno - delle superfici topografiche, per ogni specifico periodo temporale, sull’intera area di studio. «Volendo esemplificare il processo di interpolazione» spiega Paolo Mozzi «possiamo pensare ad una tavola - il livello medio del mare - in cui infiggiamo dei lunghi chiodi che spuntano dalla tavola per altezze diverse - le quote delle strutture archeologiche di un determinato periodo rispetto al livello del mare. Se appoggiamo un lenzuolo sopra i chiodi otteniamo una superficie ondulata. Analogamente, l’algoritmo di interpolazione ricostruisce matematicamente le ondulazioni della superficie compresa tra i punti quotati, con un grado di accuratezza che dipenderà dalla densità areale dei punti e dall’adeguatezza del metodo di interpolazione adottato».

I VANTAGGI.

Sono state così generate delle mappe in cui viene stimata la profondità dei livelli archeologici di età romana o protostorica rispetto al piano attuale e, per validarle, sono state comparate con frammenti di strade e pavimenti di età romana imperiale musealizzati e visitabili in città come ad esempio i sotterranei del Palazzo della Ragione, della Banca Antonveneta in via Verdi, o del bar Gancino in Piazza Duomo. Il risultato ha confermato la bontà della “pianta urbana virtuale”: lo spessore massimo dei depositi archeologici giunge a circa 7 m, per un volume complessivo di poco più di 6 milioni di metri cubi. Poco meno della metà di questo volume è dato da depositi di età medievale. L’indagine è innovativa per l’applicazione di metodi tipici della ricerca geologica e geomorfologica allo studio del sottosuolo archeologico di una città. Si tratta di un caso unico di ricostruzione dei livelli archeologici per interpolazione su un’area così ampia (circa 1,5 chilometri quadrati all’interno del centro storico di Padova). Il database georeferenziato che sta alla base delle elaborazioni ha una struttura aperta e può essere continuamente aggiornato con nuovi scavi e indagini geognostiche (es. carotaggi o rilievi geofisici). Con l’aumentare della qualità e densità dei punti quotati, l’accuratezza della mappatura dei depositi archeologici può via via migliorare. Il metodo è potenzialmente applicabile ad altri siti urbani pluristratificati sorti in pianura, tipici di molte città storiche italiane ed europee. Può costituire un importante ausilio nell’analisi geoarcheologica di siti pluristratificati a partire soltanto da dati di archivio, analisi utili sia in chiave di ricostruzione della storia della città, sia in termini di riconoscimento e tutela del patrimonio archeologico sepolto.

IL PERIODO.

L’area indagata comprende l’intero mound (collina sopraelevata) e si estende per circa 1,5 chilometri quadrati all’interno del centro storico di Padova, includendo il Duomo e la zona delle Piazze, il Liston e Palazzo del Bo, Piazza Antenore e via del Santo, via S. Francesco e le Riviere. Il limite occidentale coincide con l’ansa del Tronco Maestro tra il Castello Carrarese (la Specola) e Ponte Molino, quello settentrionale continua verso Largo Europa e Porta Altinate per chiudersi ad oriente su via Falloppio e gli Ospedali. A sud, lo studio si è spinto fino a Prato della Valle e al Santo. Il periodo storico preso in considerazione va dall’età del Bronzo finale (XIV-X secolo a.C.) al II secolo d.C., lasso temporale che corrisponde alle fasi fondative dell’insediamento e allo sviluppo della città antica, prima di matrice veneto antica e poi pienamente romana. All’interno di questo ampio intervallo si è focalizzata l’attenzione sull’abitato della prima età del Ferro (dalla fine del IX al VII secolo a.C.), sulla città veneto antica nel suo massimo sviluppo (VI secolo a.C.), sulla città ormai romanizzata di Patavium (I secolo a.C.) e, infine, sulle fasi del periodo imperiale (I-II secolo d.C.).

LE SCOPERTE.

Interpolando i punti quotati di ciascun periodo storico si è dapprima ricostruita la superficie della pianura alluvionale su cui si sono impostati i primi insediamenti dell’età del Bronzo. La ricostruzione geomorfologica della pianura alluvionale al di sotto degli spessi depositi archeologici mostra la presenza di alcuni paleoalvei attribuibili a divagazioni del fiume Brenta. Questo fiume attraversava l’area durante l’età del Bronzo, disegnando il sinuoso percorso meandriforme che ancora marca l’idrografia urbana patavina (o meglio, la marcava prima dei massicci interramenti delle Riviere negli anni settanta del XX secolo, che hanno in gran parte cancellato dal paesaggio urbano del centro di Padova la dimensione fluviale e rivierasca). «Probabilmente» sottolinea Paolo Mozzi «già all’inizio dell’età del Ferro, il Brenta lasciò il posto al fiume Bacchiglione, che prese a scorrere lungo il medesimo alveo a seguito di importanti modificazioni della paleoidrografia. Il Brenta si spostò lungo l’attuale direttrice, passando a est della città per Ponte di Brenta e poi a sud verso Piove di Sacco. La pianura alluvionale del Brenta di 3000 anni fa costituisce dunque il suolo su cui sorsero i primi insediamenti, ma il fiume che sostenne la nascita e lo sviluppo della città a partire dal I millennio a.C. fino all’età moderna è stato il Bacchiglione». La ricerca dimostra che le depressioni allungate dei paleoalvei, così come le aree leggermente rilevate con suoli più sabbiosi in corrispondenza di ventagli di rotta fluviale o di barre poste all’interno dei meandri, condizionarono sia l’impostazione degli insediamenti protostorici, sia lo sviluppo dell’insediamento nei secoli successivi.

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