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Cronaca

Ultimo atto del processo al maresciallo Marco Pegoraro per l'uccisione di Mauro Guerra. In serata la sentenza

All’ingresso, tutti gli uomini che si sono presentati per assistere all’udienza sono stati fermati, riconosciuti e schedati dalla polizia locale. Il Pm ha chiesto l'assoluzione per l'imputato

Sabato 15 dicembre, ancora un’udienza carico del maresciallo dei carabinieri, Marco Pegoraro, per chiarire la vicenda dell’uccisione di Mauro Guerra, il trentaduenne di Carmignano di Sant’Urbano ucciso da un colpo di pistola esploso proprio dall’imputato. Guerra stava sfuggendo a un TSO non autorizzato che i carabinieri del suo paese gli volevano imporre. 

Schedatura

L’aula è gremita come mai prima d’ora, potrebbe essere il giorno della sentenza. All’ingresso, tutti gli uomini, giovani e meno giovani, che si sono presentati per assistere all’udienza sono stati fermati, riconosciuti e schedati dalla polizia locale. La procedura è stata accolta con sorpresa dai più, che hanno protestato e chiesto come mai ci fosse questa operazione di schedatura da parte delle forze dell’ordine. Solo il fratello di Mauro, Jacopo, si è rifiutato di consegnare i documenti  agli agenti, che però non gli hanno impedito di entrare ad assistere all'udienza. 

La richiesta del Pm

Quando manca poco a mezzogiorno, è il momento del pm Pm, Carmelo Ruberto, che chiede l’assoluzione per l’imputato Marco Pegoraro «perché il fatto non sussiste». E' la perizia tecnica, della procura stessa, che il  Pm vuole smontare. Si sofferma non poco sulla questione legata alla distanza da cui è stato esploso lo sparo dall'imputato. Fa riferimento poi all'articolo 52 del codice penale sulla legittima difesa. «Sulla base dei dati circostanziali, il brigadiere Sarto è stato colpito da violenti colpi sferrati dal Guerra, utilizzando le manette che non gli erano state chiuse completamente». Il Ris di Parma, quindi i carabinieri stessi, hanno fornito una perizia che afferma che il brigadiere era davvero in pericolo. «La difesa è stata necessaria, inevitabile», afferma Ruberto. «Se uno dei colpi fosse stato ben assestato avrebbe potuto procurarne la morte. La difesa è stata proporzionata». 

Legittima difesa

«La distanza da cui è stato sparato il colpo - insiste il pm - non è affatto chiara in questo processo. Devono essere prese in considerazione le parole dell'imputato che dichiara di aver sparato da otto, dieci metri. L'imputato ha tutto il diritto di difendersi, al limite anche di mentire. Ciò che ha dichiarato invece ha trovato riscontro nei fatti, invece. La pericolosità sociale di Mauro Guerra, gli eventi di quel giorno, il fatto che l'imputato sia un istruttore di tiro, che infatti ha mirato al braccio sinistro. Ha mirato più verso il basso che verso l'altro, per evitare di colpire il collega». Poi conclude: «Chiedo l'assoluzione perché il fatto non sussiste». 

Parte civile

Dopo una pausa di una quarantina di minuti, è il turno dell'avvocato di parte civile, Alberto Berardi. Oltre a evidenziare l'anomalo comportamento del Pm che ha presentato un perito nominato dalla sua stessa procura. L'avvocato Berardi lo fa notare al giudice, un po' come l'anomala tesi dello stesso Pm che il Tso si poteva far autorizzare dopo averglielo fatto. «Guerra fugge perché vuole sottrarsi a una pratica assolutamente illegale. Scappa svestito, a piedi nudi. Mauro Guerra era animato da una fede profondissima che è quella che lo spinge a cercare rifugio in chiesa. Incontra dei passanti ai quali spiega cosa sta succedendo, se fosse stato violento non si sarebbe comportato così. Si butta in un campo, in una giornata caldissima di fine luglio. Non c'è nessuno, a chi poteva fare male Mauro Guerra se non c'era nessuno?». E' molto contrariato l'avvocato Berardi, per questo si sofferma su ogni particolare di quel pomeriggio: «Mauro Guerra ha cercato fino all'ultimo di scappare. Anche dopo il primo contatto, la scelta di Guerra è quella della fuga e non la scelta della violenza. Reagisce con la forza solo quando è ammanettato. Ci sarebbe da discutere anche sulla pratica delle manette...».  Poi l'avvocato si sofferma sulla ferita al brigadiere Sardo: «Una ferita superficiale, il brigadiere Sardo si vede dalle immagini, è in piedi che sorseggia dell'acqua. Si vede, per fortuna, una persona che sta bene. Un dato inconguente con quello che viene sostenuto. Mauro Guerra perde la vita, questo epilogo ha poi un esito ancora più grave della morte: Mauro Guerra viene ammanettato quando è morente. Viene poi liberato solo quando è diventato cadavere. Nel frattempo Mauro Guerra viene insultato in maniera sgradevole, oscena. Una condotta che rappresenta l'abisso dell'umanità».

Medici o carabinieri?

Sempre l'avvocato Berardi fa notare che i carabinieri coinvolti in quel tragico pomeriggio «non avevano le competenze per prendere le iniziative che hanno preso. Prima psicologi, poi medici, competenze che evidentemente non potevano avere». 

Il maresciallo Billeci e il Tso

L'avvocato Berardi riporta poi le parole del maresciallo Billeci, che «era stato chiamato dai carabinieri suoi colleghi per mediare la situazione. Al maresciallo Billeci avevano assicurato, i suoi stessi colleghi, che il Tso fosse stato richiesto addirittura dai famigliari, cosa che poi è stata smentita anche se i giornali hanno per giorni riportato quella notizia. Notizia assolutamente falsa». Informazione, sottintende l'avvocato, che solo gli stessi carabinieri potevano far arrivare alla stampa. 

Avvocato Pinelli

Tocca all'avvocato Pinelli  che si rivolge direttamente al giudice monocratico, Raffaele Belvederi: «Lei dovrà entrare in camera di consiglio con la consapevolezza della gratuità di questa morte. Solo dopo bisogna pensare alle responsabilità, ma questa è una morte che si poteva e si doveva evitare. Non può finire un processo di una tale gravità senza neppure un buffetto. Mauro Guerra, la sua vita e la sua dignità non valevano meno di tutti coloro che sono seduti qui in quest'aula. Non valeva meno, la vita di Mauro Guerra». Parla per quasi un'ora l'avvocato. «Criminalizzare le vittime è tipico di queste situazioni. Il tempo dedicato alle personalità delle vittime è anche percentualmente più significativo di quello della condotta dell'imputato. Si finisce per criminalizzare la memoria della vittime, questo indebolisce lo Stato se questo, nel momento in cui un uomo delle istituzioni non sa dire mi dispiace, ho sbagliato. Lo Stato prima di essere autorità è uno strumento di garanzia. Questo non deve essere un caso in cui le istituzioni mettono la testa sotto il cuscino ignorando cosa è accaduto». Il giudice monocratico, Raffaele Belvederi, prende la parola per rassicurare l'avvocato: «In questo momento lo Stato lo rappresento io e quindi questo pericolol, vi assicuro, è scongiurato». 

La parola alla difesa

Quando sono le 16 e 30 è il turno dell'avvocato della difesa, Stefano Fratucello. Il difensore del maresciallo Marco Pegoraro attacca subito la tesi dei difensori di causa civile: «La difesa di parte civile ha giocato scorretto dichiarando che se il maresciallo Pegoraro non viene condannato è lo Stato fallisce. Non c'è nessuna analogia con i casi di Cucchi o di altri. Il maresciallo Pegoraro non è un assassino. Ha dovuto decidere in pochi secondi, il maresciallo Pegoraro. I video ci parlano di un'unica realtà processuale: il maresciallo Pegoraro ha sparato convinto di adempiere un dovere come speigato dagli articoli 51 e 59, comma 4. Aveva la ragionevole convinzione che non ci fosse alternativa all'uso delle armi. Non c'è altra strada che il proscioglimento dell'imputato». Poi difende il cambio di direzione del Pm: «Non poteva spiegare in modo migliore il caso, è sintomo di intelligenza rivedere convinzioni che si avevano in precedenza». Poi entra nel merito di quel pomeriggio: «Guerra ha minacciato i carabinieri, ha usato violenza, non si può far finta che questo non sia accaduto». L'avvocato anche in questa occasione fa riferimento a un precedente procedimento nel quale era stato coinvolto Mauro Guerra, in cui lui stesso era il difensore del trentaduenne di Carmignano di Sant'Urbano. 

Il papà di Mauro lascia l'aula

Sono passate da poco le 17.00, il difensore di Marco Pegoraro, l'avvocato Stefano Fratucello, cita una serie di presunti episodi famigliari in cui la vittima avrebbe messo in pericolo i suoi famigliari. Il papà di Mauro, Ezio, ad alta voce si rivolge all'avvocato: «Non si possono sentire le tue bugie, esco perché è vergognoso quello che sta dicendo». Non lo guarda neppure in faccia, papà Ezio si alza ed esce dall'aula. 

Difesa al passato

Per la maggior parte della sua arringa difensiva l'avvocato della difesa, si è concentrato sul passato della vittima, sui rapporti famigliari e personali. Meno spazio invece a quanto è accaduto quel giorno. «Il maresciallo Pegoraro non aveva alternative, non poteva che agire in questo modo. Mai il maresciallo Pegoraro ha abusato della sua posizione, non c'è assolutamente l'intenzione da parte dell'imputato di uccidere Mauro Guerra. Quando il brigadiere però viene ferito a sangue non c'è altro modo per il maresciallo che fermare la furia di Guerra. E' l'aggressione a Sarto che è sproporzionata, non la reazione del maresciallo». 

La sentenza

Dopo aver ascoltato le parti, il giudice ha dato appuntamento alle 19 e 20 circa per la sentenza. 

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