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Economia

Centro storico, la crisi continua: chiudono i negozi e i bar aprono con difficoltà

Le statistiche da Confcommercio che ha scoperto come dal 2008 i locali siano gli esercizi pubblici con più fortuna ma le difficoltà incontrate all'interno della città sono molteplici

Cosa succede al commercio nei centri storici dopo 8 anni di crisi economica? Se lo è chiesto Confcommercio che ha presentato una ricerca realizzata in 40 città italiane tra le quali figura anche Padova. Ed il primo dato che emerge dall’analisi è che le città italiane, nel loro complesso, perdono negozi in sede fissa un po’ più rapidamente rispetto al resto del Paese. Una tendenza solo in parte attenuata dalla crescita del numero di ambulanti, alberghi, bar e ristoranti.

ANALISI. Un’analisi che raffronta il 2008, anno d’inizio della crisi, col 2016, condotta su città di medie dimensioni capoluoghi di provincia, il cui territorio è stato distinto tra Centri Storici e Non Centri Storici e relativa a 13 categorie distributive (non specializzati, alimentari, tabacchi, carburanti, computer e telefonia, mobili, e ferramenta, libri e giocattoli, vestiario e tessili, farmacie, ambulanti, altro commercio, alloggio, bar e ristoranti). Il secondo dato è che, andando ad analizzare le dinamiche distinguendo tra centri storici e non centri storici di queste città, nei primi il tasso di riduzione dei negozi in sede fissa è sensibilmente più elevato rispetto alle periferie. In particolare, nei centri storici si registra una riduzione di tutte le tipologie distributive – soprattutto libri, giocattoli e abbigliamento – e una vera e propria sparizione dei benzinai; crescono solo le farmacie e i negozi di telefonia e Ict domestico (computer, ecc.).

PADOVA. Tra le determinanti della desertificazione commerciale dei centri storici, oltre alle dinamiche demografiche (come l’età media della popolazione e la densità abitativa) e al calo dei consumi, il fenomeno può essere ricondotto prevalentemente ai canoni di affitto del centro più elevati rispetto a quelli delle periferie. E Padova? “La dinamica – commenta il presidente dell’Ascom, Patrizio Bertin – si muove sulla stessa falsariga del dato nazionale. In termini assoluti abbiamo perso 109 esercizi in sede fissa in centro storico e 5 nelle periferie a fronte di un dato negativo in centro storico per alberghi, bar e ristoranti con gli alberghi che scendono di 15 unità (mentre bar e ristoranti chiudono il raffronto a zero) per essere rimpiazzati da quanti hanno aperto in periferia. Una conferma, pur in un momento in cui i bar sono il business più gettonato, di quanto possa incidere negativamente la difficoltà di accesso al centro storico e la conseguente “espulsione” delle attività”.

GOVERNO INTERVENGA. E dunque se Confcommercio chiede al governo di adottare efficaci misure di agevolazione fiscale per favorire l’apertura e la sopravvivenza delle attività commerciali nei centri storici e propone alle associazioni dei proprietari immobiliari di avviare un percorso comune per la revisione delle formule contrattuali e la riduzione dei canoni di locazione commerciale (operazione che l’Ascom ha avviato già da quattro anni con l’operazione “Caro Affitto ti scrivo”), per Bertin, in sede locale, le priorità sono anche altre. “Purtroppo – conclude il presidente dell’Ascom – dobbiamo fare i conti con una città senza un governo e dove i grandi progetti languono. Per questo ci stiamo facendo carico di proporre idee ed iniziative, collaborando, ad esempio, con un’istituzione come l’Università (nello specifico il Dipartimento di Ingegneria Civile) con la quale stiamo lavorando al progetto del “Quadrilatero dei Sensi”, un’iniziativa che, attraverso il richiamo sensoriale, punta a riqualificare l’area del centro storico compresa tra il Liston e le vie San Francesco, Santa Sofia e Altinate”.

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