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Economia

Crisi in Medio Oriente, "a rischio oltre 300 milioni di euro per le imprese padovane": l'allarme

A lanciare l'allarme è Confapi Padova, che evidenzia come l’export verso Turchia, Iran, Libia, Iraq e Siria sia letteralmente crollato nel giro di un anno

Iran e Libia, ma non solo: Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha preso in esame i dati relativi al commercio delle imprese padovane in alcuni dei principali paesi del Medio Oriente, evidenziando come l’export sia letteralmente crollato nel giro di un anno e come siano più di 300 i milioni di euro che rischiano di andare in fumo.

I dati

Nello specifico, le esportazioni destinate a Turchia (207,4 milioni di euro), Iran (48,5), Libia (39,1), Iraq (12,1) e Siria (3,9) avevano toccato un massimo di 311 milioni di euro nel 2017 (dati Istat e Camera di commercio). Già al termine del 2018 il calo del volume d’affari è stato clamoroso. Un anno dopo, infatti, le esportazioni verso gli stessi cinque Stati sono scese di quasi 62 milioni di euro (in Turchia si sono attestate a 177,2 milioni a fine 2018, in Iran a 41,2, in Libia a 19,5, in Iraq a 2,7 e in Siria a 1,8). Ancora non sono a disposizione i dati relativi all’anno appena concluso, ma è evidente che con l’intensificarsi del conflitto a Tripoli e con la crisi internazionale che coinvolge l’Iran la situazione può solo peggiorare.

Il commento

«Il tutto - evidenzia Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova - senza considerare che per l’Italia vi è una notevole dipendenza dalle forniture petrolifere dall’area mediorientale e dalla Libia e che il prezzo del greggio è salito ai massimi in questi giorni. Addentrarsi nelle vicende delle aree citate è oltremodo complicato, ma in questo momento, dalla nostra prospettiva, è più utile chiedersi perché abbiano ridotte possibilità di intervento. Dall’inizio della battaglia di Tripoli i morti sono saliti a circa 700, ma cosa può proporre l’Europa al generale Haftar per convincerlo a fermarsi? E cosa può offrire al governo di Tripoli, sotto attacco dallo scorso aprile, più della Turchia che ha approvato l’invio di truppe di terra? La situazione nei confronti dell’Iran è per molti versi analoga e riguarda in particolare il pericolo che Teheran superi i limiti sull’arricchimento dell’uranio previsti dall’accordo sul nucleare civile firmato nel 2015 con i 5 membri del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania e l’Ue. L’Italia può poco, ma ciò che manca, come spesso accade, è una posizione comune europea sulla questione. Le posizioni degli Stati che hanno siglato l’accordo sono diverse perché in questa situazione diversi sono gli interessi in gioco. E la questione si fa più ampia e riguarda a questo punto le competenze attribuite in via esclusiva all’Unione europea: tra queste non vi è la politica estera, mentre gli Stati membri saranno sempre portatori di interessi contrapposti (si pensi alla competizione fra l’italiana Eni e la francese Total in Africa)», conclude Valerio. «Per dare al continente una seria politica estera e consentire all’Europa di essere influente sullo scacchiere internazionale al pari delle altre grandi potenze serve un deciso scatto in avanti di integrazione, un forte atto di volontà politica. Se non ci sarà, saremo condannati all’irrilevanza. E le conseguenze riguarderanno tutti da vicino. Anche le nostre stesse aziende».

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