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Economia

Il reddito di cittadinanza? "Per 7mila famiglie padovane": la stima di Confapi

In base alle stime di Inps e Istat, secondo le quali la misura riguarderà il 2,7% dei nuclei familiari del Nord. Valerio: «Siamo convinti che sia prioritario creare opportunità di lavoro e sostenere le imprese»

La platea dei possibili beneficiari del reddito di cittadinanza potrebbe essere molto inferiore alle stime iniziali del governo. È quanto emerge dai numeri comunicati in audizione dal presidente dell’Inps Tito Boeri e dall’Istat: secondo i calcoli dell’istituto di previdenza la misura coinvolgerebbe “una platea di 1,2 milioni di nuclei e 2,4 milioni di persone”.

I dati

Numeri, per quanto riguarda i singoli, sensibilmente inferiori ai 5 milioni a cui spesso ha fatto riferimento il ministro Luigi Di Maio. Ma quanto inciderebbe la misura sul territorio padovano e veneto? “Tra le famiglie potenzialmente beneficiarie - sottolinea l’Istituto di statistica - si stima che 752 mila vivano nel Mezzogiorno, 333 mila al Nord e 222 mila al Centro. Calcolando le relative incidenze, si stima che le famiglie beneficiarie del Reddito di Cittadinanza siano il 9,0% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, il 4,1% al Centro e il 2,7% al Nord”. Fabbrica Padova ha elaborato il calcolo, stimando che saranno potenzialmente interessati circa 7 mila dei 262.400 nuclei familiari residenti in provincia di Padova e circa 37 mila su una platea di 1,381 milioni nuclei familiari presenti in Veneto.

Posizione critica

Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova, afferma: «Parto da una premessa: come rimarcato in altre occasioni, il Veneto versa ogni anno oltre 46 miliardi di tasse all’Erario, su 493 miliardi complessivi di introiti in Italia, vale a dire il 9,3% di quanto viene raccolto nell’intera nazione. Il confronto con altre regioni dà l’idea della sproporzione tra il contributo del Veneto alle casse dello Stato e il ritorno al territorio in termini di sussidi. Ribadito questo, facciamo nostra la presa di posizione assunta da Confapi nella sua recente audizione alla Commissione Lavoro del Senato, dove la Confederazione Italiana delle Pmi è stata rappresentata dal vice presidente nazionale Francesco Napoli: siamo convinti che sia prioritario creare opportunità di lavoro soprattutto per i giovani e sostenere le imprese adeguando a criteri ancor più innovativi sia il sistema di welfare sia quello previdenziale, senza gravare ulteriormente la spesa pubblica». La posizione di Confapi Padova è quindi critica, perché non è certo trasferendo risorse da chi lavora a chi non lavora che si sostiene la crescita e perché l’aumento del debito, necessario per finanziare la misura, si ripercuoterà nel medio termine sulle tasche degli italiani. E, tuttavia, c’è la massima disponibilità al dialogo, unica via per migliorare la riforma. «Sul reddito di cittadinanza, le associazioni datoriali come Confapi, per la loro storia, credibilità e radicamento nei territori, possono svolgere un ruolo di cerniera per agevolare l’incontro tra offerta e domanda di lavoro. A tal proposito, potremmo rafforzare il protocollo di collaborazione già avviato con Anpal non solo per avvicinare il mondo della scuola ai nuovi fabbisogni del mondo dell’impresa, ma per creare percorsi virtuosi che portino i beneficiari ad un corretto inserimento nel mondo del lavoro. Assumere un lavoratore che beneficia del reddito di cittadinanza comporta numerosi e scoraggianti vincoli per le imprese. Ci preoccupa anche la previsione che vincola il beneficio al rispetto del regime de minimis. Difatti, numerose piccole e medie imprese, che nell’ultimo periodo hanno investito per essere competitive, rischiano di non poter utilizzare la misura poiché il limite triennale dei 200 mila euro è stretto. Su questo aspetto occorre una riflessione più approfondita».

"Quota 100"

Nell’audizione al Senato è stato affrontato anche il tema “Quota 100”. «Per quanto riguarda “Quota 100” da quanto apprendiamo dalle nostre industrie, laddove si libereranno posti di lavoro non sempre si determinerà un’automatica sostituzione, soprattutto nei casi di personale qualificato. Il nostro sistema previdenziale a ripartizione, per il quale i lavoratori attivi pagano con i loro contributi i pensionati, è garantito solo se al centro delle azioni politiche di oggi ci sono lo sviluppo industriale, la competitività e il lavoro». «Anche in termini di welfare, complementare a quello statale, le associazioni come Confapi hanno dato e continuano a dare il loro contributo. Sono ben 13 gli enti bilaterali, costituiti con Cgil, Cisl e Uil e Federmanager, che si occupano di formazione, di assistenza e sostegno al reddito, di previdenza complementare, sanità integrativa e anche di welfare attivo. Quindi non solo enti che assicurano ai lavoratori di avere delle garanzie certe al momento della fuoriuscita dal mondo del lavoro, ma che offrono anche percorsi di riqualificazione professionale, di certificazione delle competenze, di assegnazione di borse di studio, favorendo così un rinserimento dei soggetti beneficiari sul mercato del lavoro».

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