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Il caso dell'incidente in corso Umberto Primo. Adl Cobas: «I rider, lavoratori senza diritti»

«Il termine inglese induce a pensare ad attività marginali, svolte quasi per diletto e il settore del food delivery digitale è l’esempio migliore di quanto sia fuorviante questa definizione»

La vicenda della rider scontratasi con un auto di ex assessore comunale sta facendo emergere quanto poco tutelati siano questa tipologia di lavoratori. A Luca Dall'Agnol di Adl Cobas, che si sta occupando di tutelare i diritti della rider, abbiamo chiesto di spiegarci quali sono le condizioni in cui questi lavoratori si trovano, soprattutto quando sono coinvolti in incidenti o infortuni.

Gig Economy

«La vicenda di C.M fa emergere - spiega il delegato - il lato oscuro della cosiddetta gig economy o economia delle piattaforme. A dispetto del termine inglese che induce a pensare ad attività marginali, svolte quasi per diletto e nei ritagli di tempi, il settore del food delivery digitale è l’esempio migliore di quanto sia fuorviante questa definizione. A livello mondiale infatti rappresenta un settore economico in rapida espansione con dei volumi tutt’altro che marginali e continui investimenti da parte di venture capital. Solo in Italia le previsioni davano un giro d’affari in impennata passando tra 400 milioni di euro del 2016 fino 90 miliardi di euro. In termini occupazionali si stima che sono ormai tra le 3000 e le 5000 le persone impiegate in questa attività, una buona parte delle quali ne trae la primaria fonte di reddito. Alla questione di un riconoscimento “culturale” del rider come vero e proprio lavoratore o lavoratrice, se ne affianca una ben più seria in merito alle condizioni contrattuali, salariali e di diritti secondo le quali materialmente questo lavoro si svolge».

Passatempo

«D’altra parte, pure nella specificità, ciò che attualmente - sottolinea - rende possibile “squalificare” il lavoro dei rider alla stregua di un passatempo “addirittura retribuito” per giovani studenti è lo stesso processo d’incessante frammentazione dei cicli produttivi, che crea segmenti lavorativi sempre più atomizzati. E dove, nel caso particolare, l’automazione del comando sulla produzione attraverso l’utilizzo delle tecnologie che si basano su algoritmi, s’innesta perfettamente creando un rinnovato taylorismo digitale. Al centro di questo meccanismo, al netto degli anglicismi e della scomparsa apparente del lavoro, vi è però incontrovertibilmente la forza lavoro dei e delle ciclo-fattorini/e, che vanno interpretati come uno dei soggetti che subiscono la generale trasformazione del lavoro in direzione dell’attuale e profonda precarietà lavorativa e di vita».

Logistica

«Nel concreto, i rider - mette in evidenza Dall'Agnol - svolgono un’attività di logistica metropolitana collegata al settore dei servizi (principalmente di ristorazione, ma ci sono ormai molti esempi non dissimili che fanno riferimento per esempio alla G.D.O.), trasportando dagli esercizi commerciali “ordini” che il consumatore richiede tramite l’applicazione della piattaforma. Se da una parte l’app mette in collegamento domanda ed offerta, d’altra la piattaforma organizza, coordina e dirige tramite i dispositivi di comunicazione mobile l’attività materiale svolta dai fattorini indicando luoghi, orari e tipologia di attività. Anche gli stessi turni assegnati ai ciclofattorini sono decisi dall’azienda. Eppure, grazie anche alle possibilità per le piattaforme di muoversi incontrastati su uno spazio nuovo e quindi privo di regolazioni chiare e sedimentate, e di un clima culturale teso all’auto-imprenditorialità (vera o soprattutto presunta), sono ridotti al minimo gli oneri economici e i “rischi d’impresa” finora assunti da questi soggetti: gli stessi mezzi necessari (bici o scooter, smartphone e utenza telefonica) per svolgere le consegne sono di proprietà dei fattorini stessi, mentre vengono fornite loro solo le uniformi e i “cubi” per trasportare il cibo con i colori e il logo dell’azienda, così producendo, pressoché gratuitamente, un costante e “involontario” lavoro pubblicitario».

Arbitrarietà

«Si registra poi - si sofferma il sindacalista - un’assoluta arbitrarietà dal punto del rapporto contrattuale: per la maggior parte regolato come mera prestazione autonoma occasionale (anche se questa si protrae ripetitivamente e continuativamente per settimane, mesi o anni) – come nel caso di C.M.  nei casi più rari come una co.co.co.. In entrambi i casi comunque questi rapporti sono svuotati di tutto: la retribuzione è sganciata da qualsiasi riferimento minimo ed elargita principalmente sulla base di un “cottimo” invece che sul tempo di lavoro messo a disposizione e va da € 4 a 7 lordi/ora e da € 1 a 2,6 / “pezzo”, nessun monte ore è garantito, alcuna attrezzatura adeguata è fornita a tutela di salute e sicurezza, mentre una copertura assicurativa antinfortunistica di natura privata minima e comunque insufficiente è tutta da verificare. La vicenda di C.M. sarà un interessante test a riguardo. Per non parlare della completa libertà della piattaforme sull’utilizzo dei dati personali e di quelli prodotti con il lavoro e raccolti tramite app e geolocalizzazione; dell’utilizzo del rating basato su produttività, docilità e “reputazione” usato per “concedere” o meno la possibilità di lavorare; dall’assoluto misconoscimento di una dimensione collettiva dei e delle rider e quindi della loro titolarità a diritti di natura sindacale quali il potersi riunire ed organizzare per far valere collettivamente i propri diritti e persino di poter confrontarsi se non individualmente con responsabili e dirigenti della piattaforma».

DIritti

«Al di là degli specifici contesti  - spiega ancora - normativi nazionali, che vi siano ricorrenti caratteristiche deteriori in questo “nuovo lavoro” tipoco dell’economia di piattaforma lo segnalano, oltre ormai ad analisti e ricercatori, le tante mobilitazioni che a partire dal 2016 a livello europeo hanno animato in maniera intermittente ma crescente i principali centri urbani e metropolitani del continente. In una crescente ondata di conflitto, da Londra, passando per Parigi e Bruxelles, Barcellona e Berlino, fino a Torino, Milano e Bologna, e tante altre città sono ormai decine gli scioperi, le mobilitazioni, le iniziative pubbliche e di protesta che nell’ultimo biennio hanno attirato l’attenzione pubblica e soprattutto posto all’attualità dell’agenda politica e sociale le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di questi lavoratori e lavoratrici europei (e non solo dato che recentemente anche ad Hong Kong e in Australia).  Come ADL Cobas mettiamo le nostre competenze e gli strumenti sindacali di cui siamo a disposizione per supportare al meglio questa lotta. Da quasi due anni a Padova abbiamo uno sportello che tutti i giovedì pomeriggio d consulenze e sostegno ai lavoratori indipendenti e parasubordinati, tra i quali figurano i riders» .

Bologna

«A Bologna - spiegano dall'Adl Cobas - invece la nostra organizzazione sindacale ha sostenuto la nascita di forme di auto-organizzazione dei riders e dato un contributo non solo alla costruzione delle inziative dei ciclofattorini ma ha anche alla sperimentazione di una nuova forma di contrattazione metropolitana nel settore del food delivery.Il riconoscimento concreto di diritti, tutele, giusto salario per i rider, passa evidentetemente attraverso la loro coalizione, la presa di parola e e la produzione di conflitto, tuttavia essendo le città il luogo stesso della produzione della ricchezza incamerata dalle piattaforme, potremmo dire è la “piattaforma materiale” sulla quale i rider vengono fatti correre giorno e notte, le amministrazioni locali possono avere un ruolo importante per aumentare la sicurezza, i diritti dei riders nonché ridurre l’assimettria di potere con le piattaforme. Per questo auspichiamo che la giunta comunale di Padova voglia coinvolgerci in una contrattazione metropolitana seria».

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