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A Vera Vigevani Jarach il sigillo della città: «Non è di tolleranza che c'è bisogno, ma di rispetto. Siamo tutti esseri umani»

Espatriata dall'Italia giovanissima per via dell’applicazione delle leggi razziali. Durante la dittatura militare argentina denuncia la sparizione della figlia e diventa leader del movimento delle madri dei desaparecidos

Sigillo della città a Vera Vigevano Janich, una delle leader storiche delle madri di Plaza de Mayo e che durante la dittatura militare, in Argentina, ha denunciato la sparizione della figlia. Una vita complicata, segnata dall’espatrio quando è ancora giovanissima, per via dell’applicazione delle leggi razziali. La sua è una famiglia ebrea. Era il 1939 e lei è solo una ragazza. In Argentina una nuova vita, cresce, studia, si forma una famiglia e ha una figlia, Franca Janich. Proprio la figlia sarà una delle trentamila desaparecidos che, durante gli anni del regime di Videla, spariscono nel nulla.

Esma e il garage Olimpo

La verità, che verrà a galla anni dopo, è che gli oppositori politici venivano rapiti, torturati e poi uccisi. Molti finivano nell’oceano, perché il regime per non lasciare tracce faceva sparire i corpi in mare. Caricavano le persone su dei carghi militari, spesso dopo averli sedati per poi farli precipitare in mare. Altri morivano direttamente nelle camere di tortura. Luoghi come Esma, la scuola navale che nascondeva le palazzine dove le persone venivano date in pasto ai loro aguzzini, si trova nel cuore di Palermo, uno dei quartieri più esclusivi di Buenos Aires.

Ma poi c’era il Garage Olimpo, da cui è stato tratto anche un film di grande successo e vari luoghi segreti in altri quartieri come Belgrano o Cile. Quando le madri hanno cominciato a rivendicare la sparizione dei loro figli, a chiedere dove fossero finiti, in pochi le credevano. Ma il movimento delle madri cresce fino a diventare davvero grande. Ogni giovedì si ritrovano in centinaia, poi in migliaia, nella Plaza de Mayo di Buenos Aires. La storia, la vicenda, esce dai confini patri quando, nel 1978, durante i Mondiali d’Argentina, alcuni giornalisti si accorgono di questa manifestazione. Così la vicenda comincia a girare e diffondersi in Europa.

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Mondiali 1978

L'incontro è a Palazzo della Ragione, dove all'inizio della grande sala ci sono esposte le magliette storiche di tanti campioni che hanno fatto la storia del calcio. E' nell'ambito di una mostra organizzata da Aics sulla storia del pallone. Tra le maglie, anche quelle di campioni argentini. E il pallone e il regime hanno flirtato a lungo in quegli anni. I Mondiali del 1978 sono infatti organizzati dal regime per vendere al mondo l’immagine di un Paese moderno e vincente, vista anche la formula che ha di fatto garantito la vittoria finale alla squadra di Menotti e Passarella. C'è voluto ugualmente un qualcosa in più, in linea di continuità con quanto accadeva nel resto del Paese, nonostante il Mondiale fosse stato studiato per garantire all'Argentina la vittoria. Clamorosa è la partita in cui si impongono per 8 a 0 nel match contro il Perù, dove il portiere Quiroga fa di tutto per lasciare passare i palloni che saranno utili per garantire il primo posto nel girone e la diretta qualificazione alla finale alla squadra di casa. I militari, durante tutta la partita, sono stati a casa dei familiari, argentini, dell’estremo difensore, minacciandoli di morte se Quiroga non avesse ubbidito. Servivano quei gol per superare il Brasile e raggiungere la finale. Poi il mondiale lo vinceranno contro il Belgio (3 a 1 dopo i tempi supplementari n.d.r.), ma è l'inizio della fine del regime. Rimangono i trentamila e più, giovani e non, scomparsi nel nulla.

300 studenti

C’erano più di 300 studenti ad ascoltarla. La voce ancora forte, un carisma che catalizza l’attenzione dei presenti. Si vede che ha dimestichezza con il pubblico, che le piace raccontare. Ha raccontato della sua vita, del fascismo in Italia, della deportazione in Argentina, degli anni felici e di quelli più tristi. Ha parlato di sua figlia e dei tanti scomparsi. Ma non c'è nostalgia, parla del nostro tempo anche quando guarda al passato. Le battaglie per i diritti umani, per lei, non sono mai terminate.

Meno tolleranza, più rispetto

Tra le tantissime cose importanti che ha detto, una frase più di tutte ha colpito: «Vorrei non sentire più parlare di tolleranza, è un termine che proprio non mi piace. A me piacerebbe sentire parlare di rispetto. E’ quello che si deve agli esseri umani», chiaro il riferimento al tema della migrazione. E poi ha anche aggiunto, con chiaro riferimento alle elezioni nel suo Paese e in Brasile: «Spira un vento che preoccupa, che bisogna tentare in tutti i modi di arginare. La democrazia è qualcosa di estremamente fragile, dobbiamo fare di tutto per difenderla».

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