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Acli: serve un reddito di cittadinanza 2.0

Domenica 17 ottobre è la giornata mondiale per il contrasto alla povertà. Nella nostra Regione le domande di Reddito di Cittadinanza presentate ad agosto sono state 28.415 per un totale di circa 60 mila persone coinvolte a cui si aggiungono le oltre 6400 a cui è stata versata la pensione di cittadinanza e i 20.715 veneti che hanno percepito il reddito di emergenza

Nella nostra Regione le domande di Reddito di Cittadinanza presentate ad agosto sono state 28.415 per un totale di circa 60 mila persone coinvolte a cui si aggiungono le oltre 6400 a cui è stata versata la pensione di cittadinanza e i 20.715 veneti che hanno percepito il reddito di emergenza. Eppure il dibattito politico intorno al RdC continua ad essere acceso. Dal lato assistenziale, sebbene se ne riconosca il ruolo, si obietta che la misura non riesce a coprire una parte rilevante delle famiglie in povertà assoluta. La critica diventa ancor più accesa quando si passa a considerare l’inclusione dei beneficiari dal lato lavorativo, che mostra ancora vistose carenze. 

Acli

«Il RdC - spiega Cristian Rosteghin, portavoce del tavolo regionale dell’Alleanza Contro la Povertà - non va abolito, ma riformato affinché sia più efficace nel contrastare la povertà e permettere a chi è caduto in povertà di avere una possibilità di reinserimento sociale. La povertà è complessa, non si riduce alla semplice assenza di lavoro. Riformare il RdC significa quindi accettare la sfida della complessità e della concretezza». Con un attento studio l’alleanza ha individuato gli interventi necessari a migliorare questo strumento, dalla revisione dei parametri che penalizzano le famiglie numerose e gli extracomunitari alla maggiore flessibilità per i redditi da lavoro. Vanno infatti corrette alcune distorsioni e investito nelle politiche attive del lavoro perché la sfida più importante è ribaltare il sistema basato sull’assistenzialismo. 

Tallone d'Achille

«Un tallone d’Achille della misura sono i percorsi di attivazione lavorativa – prosegue Rosteghin -. I beneficiari attuali hanno un profilo molto lontano dal mercato del lavoro: la metà di loro non aveva un’occupazione da almeno tre anni, un terzo non l’aveva mai avuto, in base ai dati Anpal. A rendere più che mai urgente una revisione del sistema, che punti all’inserimento lavorativo, è la crisi innescata dalla pandemia».  

8,6% di beneficiari

L’Alleanza stima in Italia un aumento dei beneficiari dell’8,6%, pari a 160mila nuclei familiari. I nuovi beneficiari sono più giovani dei precedenti, sono nella maggioranza dei casi italiani, vivono soprattutto al Centro e al Nord. Aumentano le famiglie con due figli a carico, i nuclei monoreddito da lavoro dipendente e i lavoratori autonomi: il 64% delle famiglie a rischio contiene al proprio interno almeno un lavoratore autonomo, a fronte del 15% nella platea precedente, spesso impiegato nei settori del commercio, della ristorazione e alberghiero. 

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