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Sulla Passerella Benetti, la notte di Ahmed che non vede nessuno

Dove sono morti lui ed Henry non ci sono telecamere, più viene tardi e meno è probabile incontrare qualcuno. Così, per sapere cosa succede la notte rimane solo chi, nel buio, l'ansa del fiume presidia e controlla

Tra due campanili, letteralmente. E’ incastonata così, come in una cartolina, la passerella Virginio Benetti. Da una parte quello di Cadoneghe, dall’altra quello di Torre. In mezzo il fiume Brenta in uno dei tratti tra i più belli del suo corso. Se di giorno c’è un discreto via vai, la sera è tutto diverso. 

Passerella

Da quando martedì 26 aprile è stato ritrovato il corpo di Ahmed Joudier ci siamo ritornati diverse volte. Di giorno, come si diceva, c’è il normale scorrere della vita. Gente che lo attraversa spingendo la bicicletta, ragazzini che lo attraversano senza neppure scender dal mezzo con grande compiacimento, la maggior parte poi ci passa a piedi. La sera, la notte, è tutta un’altra cosa. Il fascino rimane immutato, anzi forse accresce ancora di più. Ma di fatto è difficile incontrare qualcuno. Non ci sono telecamere, più viene tardi e meno è probabile incontrare qualcuno, così per sapere cosa succede la notte rimane solo chi quel pezzetto di territorio, l'ansa del fiume, presidia e controlla. 

Buio

Chi l’argine lo frequenta di sicuro è chi ha qualche interesse a farlo, evidentemente, perché non è così normale altrimenti starsene lungo il fiume quando fa buio. E infatti chi incontriamo se da una parte ha interesse a farsi vedere, offre comunque un prodotto e chi passa potenzialmente è un cliente, dall’altra non ha per nulla voglia di parlare, soprattutto con un giornalista. «Tu qui così scrive di pusher, vero?», urla letteralmente. Così con la sua voce che si alza quasi per spaventare, arrivano altre due, tre persone, evidentemente lì per lo stesso scopo. Chiarito non proprio immediatamente il perché della presenza di chi scrive, finalmente si comincia a parlare. Cercare di capire se qualcuno può aver visto qualcosa la notte tra giovedì 21 e venerdì 22, quando, si può dire senza più dubbio, Ahmed si è buttato proprio da quel ponte. «Pensi davvero che se avessimo visto una cosa così non saremmo intervenuti? Cosa credi, che se avessimo visto un ragazzino tentare di fare una cosa così, non avremmo fatto nulla?». Faccio notare che sono un po’ distanti dal ponte. «Noi abbiamo mille occhi – dice uno dei tre sopraggiunti – avevamo visto anche te camminare, quindi ti assicuro che fino a che siamo stati noi qui non è successo nulla. Anche se siamo a un centinaio di metri. Fino a mezzanotte di certo non è successo».

Identità

Parlano tra di loro, usano la lingua madre fino a che non li si interrompe. «Secondo te, se vediamo un fratellino fare un gesto così, a maggior ragione saremmo intervenuti subito». Interessante cosa dice un altro, che interviene quasi a smentire cosa ha appena sentito. Entrambi, come Ahmed, sono di origine marocchina, quel “fratellino” era inteso in senso vezzeggiativo ma anche a significare una radice comune. «Ti sbagli, perché quel ragazzo è evidente che non fosse né italiano e neppure marocchino. Questi ragazzi qui non hanno un’identità», fa notare con il fare sicuro, quasi parlasse un sociologo. Ma inutile dire che è possibile abbia ragione lui. Qui è dove è avvenuto anche un altro fatto drammaticamente simile, settembre scorso, con la morte dell’anche lui giovanissimo, Henry Osarodion Amadasun. Anche lui da quel ponte. «Visto? La polizia. Da quando è successo quest’ultimo fatto passano più spesso, come quando è successo con l’altro ragazzo. Quindi capisci che anche noi cerchiamo altri posti fino a che tira questa aria». Interviene di nuovo quello più adulto: «Per quanti giorni andrete avanti a scrivere di questo ragazzo? Perché è questo che fai anche tu, non è vero?».

Venerdì

Ci siamo tornati anche il venerdì. Se il mercoledì e il giovedì avevamo scelto di andarci verso le 23, scegliamo di arrivarci un po’ prima. Non si incontra quasi nessuno, a parte un signore che passeggia con il cane e un giovane ciclista un po’ spericolato. Poco prima che si arrivi alla passarella Benetti, sento la voce dell’uomo più adulto tra quelli incontrati due giorni prima. Viene dall’argine, proprio da giù della strada che stiamo percorrendo. Dice solo una cosa, e poi sparisce: «La vita è dura, amico».

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