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Venerdì, 22 Settembre 2023
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«Ahmed ucciso dalla solitudine, non da brutti giri che non aveva»

«Non era il tipo da invischiarsi in situazioni pericolose, traffici per parlare chiaro. Non era proprio il tipo. Lui era molto depresso, forse per attirare l’attenzione si è inventato la storia che fosse in pericolo, ma poi il male di vivere ha avuto il sopravvento ed è finita così»

«Non era il tipo da invischiarsi in situazioni pericolose, traffici per parlare chiaro. Non era proprio il tipo. Lui era molto depresso, forse per attirare l’attenzione si è inventato la storia che fosse in pericolo, ma poi il male di vivere ha avuto il sopravvento ed è finita così». A pronunciare queste parole, pesanti come un macigno, è un ragazzo coetaneo di Ahmed, del quale era amico.

Notizia

Inutile dire che è sconvolto dal dolore ma allo stesso tempo, il quindicenne, trova la lucidità per fare un’analisi di questo tipo. «Poi chi lo sa, magari viene fuori qualcosa di sconvolgente, ma come avrebbe potuto combinare qualcosa di così grave senza che nessuno della sua cerchia di amici lo venisse a sapere? A me sembra impossibile». L’amico, che per comodità chiameremo Luca anche se è un nome di fantasia, ha una sorellina che frequenta la terza media nella stessa scuola dove è stato Ahmed, la Benvenuto Cellini di via Bajardi. Allo scoccare della campanella dell’intervallo qualcuno guardando il telefono ha appreso la notizia e l’ha immediatamente condivisa con tutti. Inutile dire che le lezioni a quel punto sono state sospese. «Lo abbiamo saputo così, a metà mattina. Non ci potevo credere», dice senza smettere di piangere, consolata dalla madre. Una tragedia che non potranno mai scordare, vista anche la giovane età. Episodi come questo segnano indelebilmente.

Giri

Chiediamo a Luca se secondo lui Ahmed potrebbe essere finito in qualche giro strano, come ad esempio le cosiddette “baby gang” a cui accenna qualcuno. In realtà dalla Questura hanno assicurato che il ragazzo non aveva alcun precedente, non figura neppure nelle liste dei mille ragazzi della provincia che sono stati segnalati dalla Prefettura dopo gli episodi di risse verificatisi a Padova. «Se baby gang vuol dire che dei ragazzi si ritrovano per stare insieme allora ok, ma siccome è inteso in altro modo io direi che è una scorciatoia semplice che volete trovare voi adulti per dare un senso a qualcosa che non si può spiegare. Era troppo fuori da tutto per essere quello che chi sostiene questo, vorrebbe fare intendere». Si conoscono dal tempo delle elementari, hanno sempre frequentato le stesse scuole. «Ha scritto a un amico in Francia, ha scritto alla sua ex. Se avesse fatto parte di un gruppo così si sarebbe appoggiato a qualcuno di loro. Era un anno che si era escluso, si era isolato. Aveva messo una distanza tra lui e tutti, questa è la verità. Ma non perché si fosse messo in chi lo sa che guaio, ma per un dolore che si portava dentro. Che è poi quello che lo ha portato a fare quello che ha fatto». 

Luca

Chi scrive, Luca, lo aveva conosciuto in occasione di un'altra tragedia, la morte del giovane Pietro Benfatto. In pochi mesi, ragazzi come lui, di quattordici, quindici, sedici anni, stanno vivendo tragedie in serie. Sono chiamati a piangere amici, a dovere cercare una spiegazione sul perché siano accadute. Due storie diverse ma che uniscono tutti questi ragazzi. C'è il rischio che crescano pieni di dolore e potenzialmente anche rancore verso un mondo, quello degli adulti, che è evidente ha della difficoltà ad ascoltarli, a recepire quelle che sono le loro ansie e paure. Forse è il caso di farci i conti. 

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