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Dai Colli Euganei alla "Linea d'ombra"

I volontari de "L'orto di Marco" a Trieste per consegnare aiuti e sostenere chi da tre anni ogni giorno si occupa di accogliere e curare i profughi che arrivano stremati dopo aver percorso la rotta balcanica. Per lo più giovani afghani in fuga dopo la presa dei Talebani di Kabul

«Cosa siamo diventati se non siamo in grado di soccorrere chi è in difficoltà?», dice Lorena Fornasir. Sono le 18 appena passate, c'è un vento fortissimo e tutto intorno a lei giovani, per lo più afghani ma c'è gente da un sacco di paesi in Piazza della Libertà, a Trieste. Sono tre anni che, dapprima solo lei e suo marito, Gian Andrea Franchi, vengono qui e trovano coloro che, dopo un lunghissimo viaggio, sono giunti fino a questa piazza attraverso la cosiddetta rotta balcanica. Si trova proprio di fronte la stazione dei treni. Quando la incontriamo,  Lorena Fornasir, sta curando i piedi di un ragazzo. E come sono ridotti, mica solo i suoi. E' una delle tasse da pagare per arrivare, piaghe e lacerazioni ai piedi. 

Profugo afghano soccorso da volontari Linea d'Ombra

Lorena Fornasir, 67 anni, psicologa. Tutti i pomeriggi finché c’è luce va con suo marito Gian Andrea, 84 anni, professore di filosofia in pensione. Dal 2015, coi primi arrivi a Pordenone di profughi dalla rotta balcanica, scende in strada per dedicarsi prima a Pordenone, poi a Trieste, alla cura e al supporto dei migranti. Sono stati 20 volte in Bosnia, caricano la macchina di medicine, sacchi a pelo e scarpe da distribuire  a chi ne ha bisogno. All’inizio agivano come singoli, poi si sono costituiti come associazione di volontariato: Linea d’Ombra ODV. Adesso sono in diversi a dare loro una mano, tra questi anche una ragazza e dei ragazzi che l'esperienza di fuggire a piedi e di arrivare fino a qui l'hanno vissuta direttamente. E ad accoglierli hanno appunto trovato Lorena e Gian Andrea.

rotta balcanica arrivo Trieste

Per prima cosa quelli della Linea d'Ombra si occupano dei piedi di chi arriva. Marianna Buttignoni che a Lorena e Gian Andrea si è unita in questo progetto di prima accoglienza, ci spiega perché: «Sono piedi che hanno lavorato, sono settimane che non si tolgono le scarpe. Hanno i piedi rovinati, pieni di vesciche, gonfi. I piedi sono essenziali, senza quelli non si va avanti». E per questi giovani il viaggio non è ancora finito. La maggior parte di loro, se non tutti, sono diretti altrove, soprattutto in Germania. Forse è per questo che da Slovenia e Croazia si sono un po' allentate le maglie e sono quindi aumentate rispetto al numero degli scorsi anni, le presenze di queste persone in transito. «Si arriva a punte di cento persone, anche in un periodo come questo che è molto freddo», spiega ancora Marianna mentre si occupa delle ferite di uno di questi giovani. «Quanti anni avrà questo ragazzo, diciassette?», si chiede Lorena mentre sta compiendo in un'altra panchina la stessa operazione.

Orto di Marco - Linea d'Ombra

Ha con sé tantissimi medicinali e materiale medico, li porta all'interno di un carrellino verde. Ha i modi decisi ma gentili, un volto bellissimo che rimane impresso. Molti di questi ragazzi la chiamano "mamà": «All'inizio mi dava fastidio, non volevo mi chiamassero così. Poi ho capito che anche solo poter utilizzare quella parola, sentirne il suono, ha un effetto positivo su questi giovanissimi». Solo per attraversare la Slovenia camminano circa tre settimane. Molti di loro non ce la fanno. «Quest'estate - racconta Lorena - tra le tante iniziative nate in questa piazza che si è riempita di persone, non solo di e da Trieste, è nata l'idea di ricamare i nomi di coloro che sono morti durante il viaggio. La maggior parte di loro non sapeva neppure come si ricamasse, ma era un modo per onorare la memoria di queste persone che altrimenti è come se non fossero mai esistite». Lorena Fornasir e suo marito Gian Andrea Franchi sono stati indagati per "favoreggiamento dell'immigrazione clandestina". Accuse poi cadute ma qualche danno lo hanno sortito e comunque impressiona pensare che la giustizia si sia occupata di due persone come loro. Soccorrono quegli stessi afghani, non solo loro ovviamente perché perché non fanno differenze, per cui si manifestava sdegno poco più di un anno fa, dopo l'arrivo dei talebani a Kabul. Esattamente loro.

Lorena Fornasir Linea d'Ombra-2

Chiediamo a Lorena Fornasir dell'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: «A fini di lucro», ci interrompe lei sgranando gli occhi.«Noi saremmo voluti andare a processo, invece siamo stati archiviati. Prima messi alla gogna e poi archiviati. Io ho perso, a causa di questa inchiesta, il mio lavoro al tribunale dei minori di Bologna. Ci tenevo tantissimo. Una cosa che mi ha fatto molto soffrire. Questa è stata la conseguenza di quella inchiesta». 

silos migranti Trieste

A dar manforte a quelli de la Linea d'Ombra, in una prima tappa di un percorso che si prevede duraturo, sono arrivati, da Abano e Montegrotto Terme, i volontari de l’Orto di Marco. Un’organizzazione di volontariato da sempre impegnata nel fornire aiuti a persone e territori in grave disagio. Lo fa da anni in Etiopia dove, dal 2016, ha realizzato, grazie all’aiuto dei concittadini e dei sostenitori, moltissime attività nella Diocesi di Emdibir: un orto biologico e l’insegnamento delle principali tecniche di coltura, la realizzazione di due scuole e la ristrutturazione di molte altre, il sostegno agli insegnanti e alle famiglie degli alunni. Nel nostro territorio, invece, è impegnata a sostegno di famiglie e persone in difficoltà o nel supporto ad Associazioni già attive. Con questo obiettivo di cura e aiuto, l'Associazione ha deciso di supportare il lavoro di accoglienza delle persone migranti della Rotta Balcanica in arrivo a Trieste, svolto quotidianamente dall'Associazione La Linea d'Ombra. «La Linea d’Ombra si prende cura, ogni sera, nella piazza di fronte alla Stazione Ferroviaria di centinaia di uomini, donne e bambini in viaggio da anni attraverso difficoltà, violenze, fame e deprivazioni per sfuggire a guerre e dittature. Arrivano in condizioni disperate, in cerca di ristoro e aiuto per poi poter ripartire nel loro viaggio migratorio», spiega la presidente, Enrica Busoli. «Come Orto di Marco abbiamo abbracciato questa causa nella convinzione che il sostegno a queste persone sia utile nel contribuire a creare un modo migliore, accogliente e umano, così come da nostra mission statutaria. Abbiamo raccolto, in queste settimane, giubbotti invernali, sciarpe, berretti, guanti e medicinali che abbiamo distribuito e, in parte, lasciato presso il magazzino de La Linea d'Ombra». Grazie all'aiuto di tutti coloro che hanno deciso di donare il materiale, infatti, abbiamo raccolto e distribuito: 70 giubbotti invernali, 100 felpe/pile, 15 zainetti. Inoltre sono stati distribuiti 70 bag alimentari fornite da Alì supermercati, venti litri di the caldo e cous cous alle verdure preparato dalla gastronomia Rossetto di Piove di Sacco. Consegnati anche, oltre a qualche cellulare usato ma funzionante, molti medicinali: cerotti, bende sterili, disinfettanti (indispensabili per la cura dei piedi e delle ferite riportate durante il viaggio dai migranti), scatole di cetirizina (farmaco contro la scabbia, di cui molto di loro soffrono a causa delle pessime condizioni a cui li sottopone il viaggio migratorio), ibuprofene e paracetamolo. «I nostri obiettivi sono molteplici: il sostegno a comunità in difficoltà ma soprattutto il coinvolgimento, nel nostro operato, di giovani del nostro territorio che collaborano con l’Associazione in maniera attiva e partecipano a tutte le nostre missioni», sostiene Emanuele Babolin, consigliere e anima dell’Associazione. «Vivere queste esperienze aiuta i nostri ragazzi ad aprire la propria mente ad una visione globale e a conoscere realtà solitamente difficili da avvicinare. Con loro cerchiamo di supportare lo sviluppo affiancando le comunità finché ce n’è bisogno e aiutandole a camminare con le sole proprie forze».

Piazza della Libertà Trieste - rotta balcanica

L’Orto di Marco nasce nel 2016 in onore di Marco Meneghelli, un giovane aponense di 28 anni scomparso nel 2011 a seguito di un grave incidente stradale. Marco era un ragazzo semplice ed altruista, libero, solare, estroverso, eclettico e sempre pronto ad aiutare gli altri. Da allora l’Associazione lavora con e nel suo nome per “donare” e aiutare proprio come avrebbe fatto lui. Dal 2016 ad oggi L’Orto di Marco ha realizzato, grazie all’aiuto dei concittadini e dei sostenitori, moltissime attività nella Diocesi di Emdibir, in Etiopia: un orto biologico e l’insegnamento delle principali tecniche di coltura, la realizzazione di due scuole e la ristrutturazione di molte altre, la collaborazione nella costruzione di una clinica ospedaliera e il sostegno all’istruzione scolastica e al sistema sanitario tramite il pagamento degli stipendi dei maestri, dei medici e degli infermieri locali. Le ultime attività finanziate riguardano la costruzione dei servizi igienici in due comunità della Diocesi etiope, la realizzazione di un impianto fotovoltaico per la fornitura di energia elettrica della clinica di Manganasse, ma anche progetti a sostegno del nostro territorio. Durante la pandemia, infatti, L’Orto di Marco ha contribuito all’acquisto di computer portatili da distribuire agli alunni meno abbienti del Comune di Abano Terme e, recentemente, un viaggio in Ucraina per portare aiuti umanitari ad un ospedale di Leopoli portando in salvo, nel viaggio di ritorno, 8 cittadini ucraini (tra i quali 2 minori) in fuga dal conflitto. Non ultimo, l’impegno nel 2020 e nel 2021 nella realizzazione dell’iniziativa “Scatole di Natale a Padova”.

Orto di Marco - Rotta balcanica

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