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«Controllo Green Pass non lede privacy lavoratore. Lo smart working è il futuro, ma non per tutti»

Impatto del Covid sul mondo del lavoro: intervista alla giuslavorista Adriana Topo, docente di Diritto del lavoro al Dipartimento di Diritto privato e Critica del diritto dell'Università di Padova

Interrogarsi su quanto e come il Covid stia influendo sulle nostre vite è non solo necessario ma indispensabile, visto l'impatto violento quanto inaspettato che ha avuto e sta ancora avendo. Capire cosa accade per non trovarsi impreparati, come in realtà è successo, a fronte di cambiamenti epocali. Per questo motivo siamo andati a trovare nel suo studio al Bo la giuslavorista Adriana Topo, docente di Diritto del lavoro al Dipartimento di Diritto privato e Critica del diritto. 

Alla professoressa Topo abbiamo immediatamente chiesto se i provvedimenti presi per far fronte al diffondersi della pandemia sono corretti o se in qualche modo vadano a intaccare privacy e diritti dei lavoratori. «Esibire un green pass falso è un po' come presentarsi a un concorso con la laurea o le credenziali di un'altra. Questo non è consentito. E' lo stesso criterio che viene utilizzato quando si verifica se una persona ha il green pass o meno. Il datore di lavoro ha il dovere di garantire la salute, quindi è legittimo accertarsi che le persone si siano o meno vaccinate. I sistemi devono poter garantire questo processo. I controlli non ledono la privacy, non è certo questo il caso», chiarisce la docente. 

Alla giuslavorista abbiamo anche chiesto un giudizio su quelle che sono le decisioni più recenti prese dal Governo, come l'introduzione del Green Pass rinforzato: «Bisogna proteggere tutti, anche chi non contrae il virus ma magari ha bisogno di essere curata per un'altra patologia. Se gli ospedali sono intasati questo potrebbe non avvenire. Certe decisioni vanno in questa direzione. Se tutti gli ospedali sono occupati da malati di Covid non si possono curare le altre persone che avrebbero bisogno». 

«Ovunque andiamo ci troviamo in dei luoghi di lavoro. Pensiamo ai mezzi pubblici, alle scuole, agli ospedali... Ovunque ci sono lavoratori e il lavoro si svolge in comunità. La nostra società è organizzata così. Ma bisonga però considerare che la pandemia si manifesta e diventa rischiosa dove le persone hanno dei contatti. Il luogo di lavoro è per definizione un luogo a rischio», spiega la professoressa Topo.  

«Il Covid ha imposto il lavoro a distanza, una modalità che rimarrà. Nel 2019 solo 560mila persone lo praticavano, siamo arrivati a un milione e mezzo in un anno. Ma questa non è la forma di lavoro che vedremo in futuro, ma solo una decisione presa per affrontare un'emergenza. La possibilità di lavorare a distanza ha dei vantaggi per datori di lavoro e lavoratori stessi per certi aspetti, anche economici». Ma il cosidetto lavoro smart non porta solo vantaggi, spiega la la docente: «Questo modello si affermerà nel futuro, sarà la realtà dei prossimi anni. E' una soluzione che però impone diverse riflessioni e che non è adatta a tutti i lavoratori. Le aziende dovrebbero essere attente perché se per alcuni quella smart è la soluzione ottimale per altri invece potrebbe essere dannosa. L'isolamento per alcune persone può avere un impatto molto negativo. Ci sono dei costi di socializzazione su cui ragionare, e da questo punto di vista è importante che il lavoratore in smart working periodicamente rientri in azienda. Questo non è stato certo previsto per risolvere i problemi di socialità, piuttosto per garantire i diritti sindacali, ma anche il profilo relazionale è importante. Per quanto riguarda lo smart working bisogna quindi tenere conto di costi e benefici». Al netto di questo c'è anche un'altra considerazione da fare: «Un problema serio da risolvere è di certo quello delle infrastrutture. Servono reti di trasmissione dei dati che li supporti a dovere. Ci vuole, per questo, un grande investimento in tutto il territorio per avere delle reti informatiche veloci e sicure in tutto il Paese». 

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