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Attualità Arcella

«Viviamo in un sistema in cui si scartano le persone. C’è un mondo che scarta anche i ragazzi»

Don Diego Cattelan, vice parroco della parrocchia di San Carlo: «Non c’è mai solo una causa che si potrebbe quindi individuare. C’è sicuramente un aspetto, però, che spiega bene Papa Francesco. Lui la chiama la legge dello scarto»

«Qual è un messaggio che noi possiamo dare ai ragazzi, qualcosa di davvero significativo che poi li porti a seguirci? Quello che mi domando è proprio questo, se davvero sappiamo come parlargli, come rapire il loro interesse e la loro fiducia. Spesso invece quando si parla ad adolescenti e ragazzini si parte con frasi fatte tipo sii libero, fai quello che vuoi, sorridi alla vita, realizzati. E quindi? Cosa vogliono dire davvero queste cose?». Don Diego Cattelan è vice parroco della parrocchia di San Carlo, in piena Arcella. Ha circa trentacinque anni e lo avevamo conosciuto, non direttamente in realtà ma solo per averlo ascoltato dall'altare durante la sua predica in occasione del funerale di un altro adolescente, Pietro Benfatto, il 10 febbraio di quest'anno. 

Tempo

Lo incontriamo a poche ora dal ritrovamento del corpo di Ahmed Joudier nel centro parrocchiale che è proprio di fianco alla chiesa di San Carlo. Nei piani superiori ci sono le aule studio dell’università, di sotto gli spazi delle attività gestite dalla parrocchia. Un luogo quindi attraversato sia da studenti universitari che da adolescenti. Ragazzi come Ahmed, Don Diego, li vede tutti i giorni. «Ci vuole il tempo di ascoltarli. Ci vuole tanto tempo anche solo per uno di loro. Vuol dire alle volte dover scendere – usa proprio questo termine Don Diego - con loro, dove non si perdano».

San Carlo

Fanno tante cose qui per coinvolgere più possibile gli adolescenti del quartiere. «Con il Grest quest’anno abbiamo intercettato circa cento adolescenti. A questi cento adolescenti noi affidiamo trecento bambini. Il fatto di fare un’esperienza sentendosi utili diventa una occasione importante. Gli operatori seguono il loro lavoro che viene valutato, quindi valorizzato. E si divertono e anzi finiscono per scoprire che lo si può fare anche senza devastarsi di alcol e fumo tutti i sabati sera, ad esempio. Ma c’è anche chi ha fatto esperienze come quella di un cammino durato diversi giorni, in compagnia anche qui di un esperto operatore. Nessun miracolo ma solo il fatto di aver fatto un’esperienza diversa, in un’altra regione, mettendosi alla prova anche sul piano della fatica fisica lo ha certamente aiutato, se non altro a strutturarsi. Queste sono tutte finestre di aiuto, come ad esempio i casi affidatici dai tribunali dei minori. A ognuno di loro bisogna dedicarsi. Uno ad uno. Il ragazzo deve percepire che tu sei lì per lui. Il ragazzo deve sentirsi voluto bene». Nello specifico fa una considerazione su cui riflettere: «I minori che commettono reati prima che venga preso in carico dai servizi passano due anni o tre anni. In un lasso di tempo tale può succedere di tutto. Non è un problema di legge ma i tempi dei tribunali sono troppo lunghi e intanto i ragazzi rischiano di perdersi».

Controllo

Tra le tante cose interessanti che racconta e le considerazioni che fa durante l’ora che passiamo con lui, c’è una immagine molto forte che usa per far capire cosa intende per intercettare il disagio di questi ragazzi. «Quando le famiglie perdono il controllo del figlio, e succede, devono chiedere aiuto. Ci vuole competenza per intervenire e non è poi detto che l’adolescente abbia davvero voglia di farsi aiutare. Certo però, quello che manca oggi è una rete a cui chiedere aiuto. Il lavoro da fare con un ragazzo deve essere complessivo non può essere relegato a un solo aspetto della vita. Molti pensano che portare il ragazzo dallo psicologo sia la sola soluzione. L’apporto piscologico è fondamentale perché aiuta le persone a capirsi. Ha senso però se c’è una rete che coinvolga dalla famiglia alla scuola, che faccia sentire che c’è chi si prende cura di lui, che lo sostiene». Usa sempre un tono positivo e propositivo ma è consapevole che neppure tutti gli sforzi profusi a fin di bene possono bastare. «Io la vedo la differenza tra chi è abituato a stare in mezzo agli altri e chi invece no. Vedo ragazzi molto insicuri, soli».

Grido

Gli chiediamo cosa pensa di quanto accaduto ad Ahmed, che don Diego conosceva solo di vista e come spiega lui, uomo di chiesa, un gesto così drammatico e definitivo: «Spesso per chi si toglie la vita è l’estremo tentativo per essere visti, l’estrema richiesta di affermare di esistere, l’ultimo grido della vita», ci dice amareggiato. «Ci sono tante cose da capire, se è vero che si sentiva braccato da qualcosa o da qualcuno. Anche quella è una interpretazione, che poi fosse reale o meno, la sentiva probabilmente soffocante. Un orizzonte nero che non gli dava scelta, così ha vissuto la vita nei suoi ultimi momenti. Chissà che castello si può creare in testa un ragazzo, magari particolarmente sensibile. Poi c’è naturalmente anche la possibilità che fosse una estrema richiesta di attenzione».

Scarto

E’ un malessere troppo diffuso quello che c’è tra i ragazzi, alimentato sicuramente dalle limitazioni causate da due anni di pandemia. Situazione che ha amplificato e rotto argini a fenomeni che sembravano più circoscritti, invece... «E’ difficile dire perché accade questo ai ragazzi. Non c’è mai solo una causa che si potrebbe quindi individuare. C’è sicuramente un aspetto, però, che spiega bene Papa Francesco. Lui la chiama la “legge dello scarto”. Il Papa parla spesso degli scartati, perché viviamo in un sistema in cui si scartano le persone. C’è un mondo quindi, che scarta anche i ragazzi. Questo accade soprattutto quando c’è una lettura funzionalistica della vita. E i più fragili, quando vedono che non riescono a corrispondere a certe attese, si sentono così. Scarti».

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