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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Infanzia, Save the Children: «Diseguaglianze in aumento. A Padova cali d'apprendimento sopra la media»

L’Organizzazione diffonde la XII edizione dell’Atlante, con una forte denuncia sulle sempre più ampie diseguaglianze economiche, sociali e geografiche in cui vivono i minori, con dati regionali e provinciali

Da molti anni si dice che l’Italia non è un “paese per bambini”, ma a questo punto, dopo qualche decennio di lento declino, sembra quasi diventato un paese in cui l’infanzia sembra a rischio di estinzione. Dai tempi del baby boom ad oggi la rotta sembra infatti essersi clamorosamente invertita: una marcia indietro che ha travolto la curva demografica e l’ascensore sociale, sempre più in caduta libera e che rischia di trascinare il futuro delle giovani generazioni e del Paese intero.

Veneto

Anche in Veneto la fotografia dell’infanzia non è delle migliori: più di 1 minore su 7 vive in condizioni di povertà relativa. Gli “early school leavers” – cioè ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione - sono il 10,5% e i NEET - giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione - raggiungono quasi il 15% (14,7%). In entrambi i casi si tratta di percentuali al di sotto della media nazionale (rispettivamente 13,1% e 23,3%), ma nel caso dei NEET molto lontane da quelle europee (9,9% e 13,7%). Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano sin dalla primissima infanzia. In Veneto solo 1 bambino su 8 (12,3%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni, un dato al di sotto della media nazionale (14,7%). La spesa media pro capite (per ogni bambino sotto i 3 anni) dei Comuni del Veneto per la prima infanzia è di 606 euro ciascuno, un dato che si colloca nella parte meno virtuosa della scala che in Italia va dai 2.481 euro della Provincia Autonoma di Trento fino ai 149 euro della Calabria.

Padova

Né il divario riguarda solo la prima infanzia. Anche crescendo, le disuguaglianze non spariscono: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio. Guardando alle province del Veneto, Rovigo (15,7%) si segnala per l’offerta di tempo scuola più carente, va un po’ meglio a Vicenza (27,7%), Treviso (28,1%) e Belluno (29,6%), superano di poco la media nazionale Verona (37,4%) e Padova (40,4%), mentre Venezia raggiunge il 53%. Riguardo all’accesso alle mense scolastiche si segnala in negativo Rovigo (42,6%), superano di poco la metà Belluno (51,7%) e Padova (57,7%), mentre si registra una disponibilità del servizio più alta a Verona (68,8%), Treviso (72,2%) e Vicenza (76,9%), Venezia è la punta più alta con l’85,4%.

Cali di apprendimento

Cali di apprendimento e divari sono evidenti nell’analisi degli ultimi test Invalsi, su cui pesano fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, in Italia è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. In Veneto, le province segnano tutte percentuali molto al di sotto della media nazionale, dal 2% di Vicenza al 5,5% di Rovigo, passando per Treviso (2,8%), Padova (2,9%), Verona (3,4%), Belluno (3,8%) e Venezia (4,2%). I dati Invalsi hanno, inoltre, certificato che, se la crisi complessivamente ha colpito tutti gli studenti, le bambine, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica, evidenziano, infatti, risultati peggiori per i ragazzi che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso, confermando come la DAD abbia fatto venire meno l’effetto perequativo della scuola, lasciando indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e di aiuto in casa, non sono riusciti a stare al passo col programma.

Numeri

In 15 anni in Italia la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600 mila minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto i 18 anni. E nello stesso arco di tempo è dilagata la povertà assoluta, con un milione di bambine, bambini e adolescenti in più senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente. Un debito demografico, economico e soprattutto un debito di investimento nelle generazioni più giovani, che ha travolto tutto il paese: tra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione in Italia è stata tagliata di mezzo punto di PIL, e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti

Save the Children

La fotografia scattata nella XII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, dal titolo “Il futuro è già qui”, diffuso a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza da Save the Children - l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – è quella di giovani generazioni su cui non si è investito a sufficienza, che, a causa della pandemia da Covid-19, hanno perso mesi di scuola, hanno sofferto l’isolamento e la perdita di relazioni, e a cui è urgente fornire risposte concrete. La pubblicazione, a cura di Vichi De Marchi ed edita da Ponte alle Grazie, racconta un’Italia ogni giorno più vecchia, ingabbiata nelle diseguaglianze sociali, economiche e geografiche, in cui i minori sono sempre più poveri, non vengono considerati come il capitale più prezioso per il futuro del paese, non vengono ascoltati.

Daniela Fatarella

«Siamo di fronte ad un domani incerto. Da un lato c’è un futuro che rischia di essere compromesso dalla crisi economica, educativa, climatica. Dall’altro sembra esserci la miopia della politica che in questi ultimi decenni non ha investito a sufficienza sul bene più prezioso del nostro paese, l’infanzia. In Italia abbiamo un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di Neet più alta d’Europa, con un esercito di giovani che non studia, non cerca lavoro e non si forma. Giovani che non sono messi nelle condizioni di contribuire attivamente allo sviluppo del Paese, senza dimenticare che povertà e assenza di educazione sono il terreno perfetto per attrarre risorse nelle mafie organizzate - afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia. - e ascoltare le istanze di bambine, bambini e ragazzi è un imperativo: si aspettano una società diversa e dobbiamo renderli protagonisti di questo cambiamento. Il tempo delle parole è passato e ora bisogna immediatamente impegnarsi in politiche concrete a favore dell’infanzia: i fondi dedicati alla Next Generation sono risorse importanti che possono trasformare le parole in realtà ed è un’occasione che non possiamo perdere».

Diseguaglianze

Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano sin dalla primissima infanzia. In Veneto solo 1 bambino su 8 (12,3%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni, un dato al di sotto della media nazionale (14,7%). La spesa media pro capite (per ogni bambino sotto i 3 anni) dei Comuni del Veneto per la prima infanzia è di 606 euro ciascuno, un dato che si colloca nella parte meno virtuosa della scala che in Italia va dai 2.481 euro della Provincia Autonoma di Trento fino ai 149 euro della Calabria. «Con la pandemia i divari nelle opportunità di crescita si sono ampliati, non solo lungo la linea geografica nord sud, ma anche all’interno delle regioni più sviluppate, nelle grandi città come nelle aree interne - spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia- Europa di Save the Children - e quella descritta dall’Atlante è una geografia dell’infanzia che svela ingiustizie di opportunità, di diritti e di futuro. Il punto di svolta per invertire la rotta è il PNRR, combinato alla nuova programmazione dei fondi europei e alla Child Guarantee, un investimento complessivo sull’infanzia che non ha precedenti dal dopoguerra. Ma se l’impiego di queste risorse sarà volto a rafforzare solo i territori più attrezzati e verrà tutto deciso dall’alto, senza un coinvolgimento delle comunità locali e degli stessi ragazzi e ragazze, il rischio reale è quello di migliorare gli indicatori nazionali senza tuttavia ridurre – anzi aggravando – le disuguaglianze. E’ un rischio concreto, se si considerano i primi bandi sugli asili nido che hanno tagliato fuori molti territori più deprivati. Inoltre gli investimenti nelle infrastrutture previsti dal Piano vanno subito collegati ad un aumento permanente della spesa per i servizi, se non vogliamo trovarci, come già successo in passato, di fronte ad asili nido nuovi di zecca che restano chiusi per mancanza di personale. Occorre fare dunque del PNRR non un insieme di progetti, ma una nuova direzione di marcia per il paese, dove i diritti di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti siano messi al primo posto delle politiche».  

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