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Giovedì, 25 Aprile 2024

Isabella Carpesio racconta il lockdown padovano nel suo lungometraggio "La Quinta stagione"

La regista ha iniziato a girare a marzo 2020, mentre arrivavano le bare da Bergamo e tuttala città era chiusa

Presentato oggi 21 marzo è stato presentato il documentario “La quinta stagione” di Isabella Carpesio, prodotto dalla casa di produzione FilmArt Studio con il patrocinio del Comune di Padova. Prima visione il 25 marzo alle ore 21 alla Multisala Pio X. E’ il primo lungometraggio che racconta la città di Padova nel corso degli ultimi due anni sconvolti dalla pandemia di Covid-19. Una testimonianza di vita, di cambiamenti e dello stato d’animo della città e dei suoi abitanti dal primo lockdown di marzo 2020 fino all’ultima ondata. Venerdì 25 marzo alle 21, al Multisala Pio X di Via Bomporti, sarà proiettato in prima visione il documentario “La quinta stagione” di Isabella Carpesio, prodotto dalla casa di produzione FilmArt Studio con il patrocinio del Comune di Padova. Si tratta del primo lungometraggio che racconta la città di Padova nel corso degli ultimi due anni stravolti dalla pandemia di Covid-19. Una testimonianza di vita, di cambiamenti e dello stato d’animo di questo luogo, dal primo lockdown di marzo 2020 fino all’ultima ondata. Dalla città deserta alla crisi delle attività commerciali, dal lento ritorno alla vita di tutti i giorni alle polemiche che hanno accompagnato divieti e limitazioni. I grandi silenzi e le immagini di una città irriconoscibile si alternano alle interviste alla gente comune, ma anche alle voci di chi ha vissuto in prima linea le conseguenze della pandemia. La regista, con in mano un’attrezzatura agile e funzionale per muoversi in autonomia, ha documentato passo dopo passo un periodo storico unico e ci si augura irripetibile.

La storia

Fine marzo 2020, esattamente due anni fa. Le strade più trafficate di Padova sono quasi deserte e la telecamera può facilmente poggiare sull’asfalto senza che le auto la travolgano. Il silenzio è assordante. Finalmente passa un essere umano, indossa una mascherina chirurgica. Le saracinesche dei negozi sono abbassate. Il Caffè Pedrocchi è chiuso, il Santo è chiuso, chiuse le sue bancarelle, Prato della Valle è vuoto. Non era mai successo prima. Un pallone è abbandonato nel centro di un asilo deserto. Gli argini sono luoghi proibiti, ma il fiume scorre e la luce del tramonto lo fa brillare. Il parco giochi ha il lucchetto. Un uomo siede solitario sulla sua terrazza e ascolta la radio che trasmette la conta dei contagi. Se si ascolta e si guarda bene, la vita c’è, solo che è nascosta: da un cortile provengono grida di ragazzini che giocano a calcio con i genitori, oltre le finestre ci sono sorrisi di bimbi che non provano alcuna ansia. In qualche giardino condominiale ci sono piccoli ritrovi, saranno leciti? È lecita questa nuova dimensione conviviale? È lecito un sorriso? Gli stendardi “andrà tutto bene” delle terrazze hanno i colori sbiaditi dal sole, il vento li agita ma non li fa volare via, rimangono sospesi, come la speranza. I cinema sono chiusi e hanno ancora affisse le locandine dei film di fine febbraio. Perché riprendere tale oscenità? Forse per non dimenticarci cosa significa la non-vita e la paura: così, quando arriverà l’estate, perché in ogni caso arriverà, e quando il virus sarà passato, perché, prima o poi passerà, quando le strade cominceranno lentamente a ripopolarsi, potremmo andare avanti, ma con una consapevolezza diversa.

La regista

Con quest'opera si rafforza ancora di più il legame tra Padova e Isabella Carpesio. Da sempre innamorata dei suoi luoghi d'origine, dopo il diploma al Laboratorio Cinema '87 di Roma e la laurea al Dams di Bologna, nel 2013 ha realizzato un primo documentario su Padova, “Street Cinema”, che ha tratto ispirazione dalle sinfonie delle città del cinema muto anni ’20. Attualmente svolge attività di filmaker free-lance per video istituzionali ed eventi, collabora come editor, sceneggiatrice e autrice di documentari per produzioni audiovisive locali.

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