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La professoressa Gatta: «In epoca pre Covid casi di autolesionismo tra adolescenti in aumento. Ora numeri raddoppiati»

La neuropsichiatra infantile Michela Gatta: «Nel 2017 c’erano stati una sessantina di ricoveri che sono diventati una ottantina nel 2018, ma nel 2019 erano già oltre i 120. Cresciuta esponenzialmente anche l'attività ambulatoriale. Il disagio psichico giovanile è un problema sottovalutato. Anche le strutture non sono adeguate alle necessità»

L’incontro con la professoressa Michela Gatta, neuropsichiatra infantile, lo avevamo fissato da circa una settimana, dopo aver assistito alla proiezione di “Come stanno i ragazzi” nell’ambito della rassegna “Adolescenti” proposta dall’associazione Train de Vie al Park Prandina. Sono circa le 18 di lunedì 21 settembre, quando la raggiungiamo nel reparto di neuropsichiatria infantile. Salendo le scale e percorrendo il corridoio che attraversiamo con lei, pur mantenendo lo sguardo basso per il pudore di chi sa di andare incontro a inevitabili vicende piene di dolore, non riusciamo ugualmente ad evitare di non incrociare gli occhi di una madre che, seduta su una poltroncina, attende di sapere come mai la propria figlia abbia scelto di punirsi, di farsi del male da sola. Uno sguardo di un secondo che dice più di qualsiasi parola. E’ questo l’impatto con il reparto dove sono in tanti i professionisti che prestano servizio. Un lavoro importantissimo che meriterebbe più spazio. Solo nella giornata di lunedì 20 settembre all’ospedale di Padova, al pronto soccorso, sono arrivati ben due adolescenti ricoverati per atti autolesionisti o peggio. Due ragazzi in un solo giorno. E la brutta notizia riguardante il giovane di Cadoneghe, non era ancora arrivata. L’ennesimo suicidio di un giovanissimo.

Una chiacchierata di tre quarti d’ora che è anche difficile riportare vista la qualità e la quantità di contenuti affrontati con la dottoressa Gatta. «Il tema della salute mentale è ancora un tabù, siamo molto in ritardo su questo. Nell’ambito del percorso di una vita invece può essere fondamentale farsi aiutare». A fronte dell'emergenza che coinvolge tante famiglie le strutture non sono affatto ben organizzate, sia se guardiamo a livello nazionale che a livello locale. «Un centro adatto deve essere molto bene organizzato, con stanze attrezzate appositamente e con personale più che qualificato e specializzato». Quando chiediamo cosa intende per stanze attrezzate, ci spiega: «Tavoli e letti saldati a terra, pareti morbide e una serie di altre attenzioni per far sì che questi pazienti non corrano pericoli. Parliamo di adolescenti portati a procurarsi ferite da soli, se non peggio, quindi bisogna prima di tutto pensar a dar loro protezione. Un ambiente accogliente e sicuro è fondamentale». Primo dato che acquisiamo è che questo tipo di esigenze non hanno una risposta adeguata. Neppure a Padova. 

Giocando con il titolo del docufilm presentato da quelli di Train de Vie, chiediamo alla professoressa "come stanno i ragazzi": «In questo momento sicuramente molti ragazzi stanno peggio che in altri periodi. Il trend del disagio psichico, negli ultimi cinque/sette anni, è cresciuto. Se nel 2017 c’erano stati una sessantina di ricoveri che sono diventati una ottantina nel 2018, nel 2019 erano oltre 120. Anche in epoca pre Covid il trend era in aumento. La pandemia ha dato una impennata alla curva di crescita con particolari problematiche legate all’autolesionismo, ai disturbi del comportamento alimentare, forme di ansia significative, attacchi di panico, espressioni somatiche di un disagio psichico». Si arriva a tentare il suicidio. «Sono di più le ragazze che tentano il suicidio, ma quelli riusciti vedono una prevalenza di quelli di genere maschile. Le modalità che loro attuano sono più violente».

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Cercare di capire cosa causa queste situazioni è fondamentale, lo è ancora di più accorgersi di certi segni che non devono essere sottovalutati ma prima di tutto vanno individuati: «Laddove le famiglie collaborano e si mettono in gioco e loro stessi avviano un percorso terapeutico è più probabile che ci sia una evoluzione positiva. L’età adolescenziale è un momento molto delicato, di grande fragilità. Lo è stato per tutti. Adesso però le cose sono ben più difficili e articolate di quanto lo fosse tempo fa. Una volta non c’erano così tante opzioni e i ruoli erano ben definiti. Adesso tutto è diverso. I ragazzi sono un po’ più fragili e le famiglie rappresentano meno un riferimento rispetto a prima». In cinquant’anni, il modello di famiglia italiana si è trasformato completamente. «Oggi si fa di tutto di corsa. Negli ultimi anni hanno inciso molto gli aspetti legati al web, a internet. Non sempre in negativo, va detto. Se infatti è vero che ci sono tanti ragazzi che navigando si imbattono in pericoli ci sono anche esempi straordinari che testimoniano l'esatto contrario. Non bisogna mai fare l’errore di catalogare e pensare che sia tutto o giusto o sbagliato. Ci sono così tante sfumature».

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Si parla sempre tanto di sicurezza abbinata all’ordine pubblico, esagerando anche situazioni tutto sommato gestibili. Poi però il tema del disagio psichico è assolutamente assente. Sicuri che la salute mentale non sia un aspetto da “curare” in una società? La professoressa a tal proposito ha questa opinione: «Abbiamo dei target precisi di pericoli che ci preoccupano ma di altri invece non ci si accorge. Sono autentici, per carità, questi pericoli stereotipati su cui ci si concentra: la droga, il non correre in auto, il non finire in brutti giri. Tutte preoccupazioni legittime per un genitore ma spesso ci si dimentica poi della quotidianità, dello stare attenti a certi aspetti che invece sfuggono». Cosa è importante fare, quindi? «Dei figli non bisogna cominciare a preoccuparsi durante il periodo dell’adolescenza, è un lavoro che va fatto prima. Non ci sono ricette che valgono per tutti ma non si può non notare che molti bambini crescono in ambienti dove tutto gli è dovuto, dove si corrisponde ai loro bisogni e desideri, si sta attenti a non ferire la loro emotività. Si seguono le loro scelte, quasi in un eccedere in permissività, di regole contenute. Perché non bisogna ferirli ed essere troppo rigidi. Però poi, proprio quando bisogna favorire l'autonomia e l'indipendenza dei ragazzi, questi parametri cambiano». E poi cosa succede? «Poi arriva l’adolescenza e il controllo diventa più strutturato proprio per la paura dei pericoli di cui si accennava prima. Il controllo quindi diventa più strutturato da parte dei genitori. Un paradosso se vogliamo, ma forse sarebbe il caso di monitorare e dare dei paletti e delle direttive prima che arrivi l’adolescenza. L’altro aspetto importante è che bisogna esserci. E’ molto impegnativo ma bisogna esserci. Al di là della presenza fisica è importante un pensiero su di loro, vale a dire chiedersi davvero come stanno vivendo, a che punto sono del loro percorso di crescita, così è più facile cogliere dei segnali di disagio anche quando questi sono più sfumati». 

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