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Limiti ai B&b nelle città Unesco, Bertin: «Le regole della ricettività devono essere uguali per tutti»

Un effetto collaterale della crisi di governo e del conseguente scioglimento delle Camere è che la Serenissima potrà porre un limite alle locazioni turistiche, mentre tutte le altre città patrimonio Unesco dovranno attendere tempi migliori

Venezia sì, tutte le altre no. Un effetto collaterale della crisi di governo e del conseguente scioglimento delle Camere è che la Serenissima potrà porre un limite alle locazioni turistiche cioè ai B&B, mentre tutte le altre città patrimonio Unesco dovranno attendere tempi migliori. Questo perché Venezia risultava inserita in un emendamento al “decreto Aiuti”, quello sul quale il governo, pur ottenendo la fiducia, ha dovuto prendere atto che la sua corsa era finita. In cosa consista la facoltà veneziana è presto detto: potrà porre un limite al crescente fenomeno degli affitti brevi (genericamente li si chiama Airbnb, ma sul mercato ci sono ormai diverse piattaforme) fenomeno che determina difficoltà per famiglie, lavoratori e studenti a trovare un alloggio a prezzi adeguati, e lo snaturamento del tessuto sociale.

Bertin

«Ogni città ha numeri turistici diversi – dichiara il presidente dell’Ascom Confcommercio di Padova, Patrizio Bertin – ma, ad esempio, con Bologna, condividiamo una massiccia presenza di studenti fuori sede che trovano sempre più difficoltà a trovare un alloggio stante la proliferazione degli affitti brevi. Sulla necessità che servano nuovi strumenti urbanistici per agire sembra siano un po’ tutti d’accordo, e non solo in Italia, visto che sulla materia hanno dovuto prendere decisioni città come Barcellona o Amsterdam. Servirebbe una legge ad hoc valida su tutto il territorio nazionale– sottolinea Silvia Dell’Uomo, presidente degli agenti immobiliari dell’Ascom Confcommercio padovana – o comunque una norma in grado di consentire alle diverse amministrazioni di definire i limiti massimi per la destinazione degli immobili residenziali alle locazioni brevi».

Urbs Picta

Se dunque ciò che dovrebbe fare scuola è quanto è stato previsto per Venezia, nelle città che vantano un sito Unesco (ma Padova ne ha addirittura due considerato che Urbs Picta è andata ad aggiungersi all’Orto Botanico) un host rimarrebbe nella categoria “uso residenziale” se non supera i 120 giorni di locazione, mentre oltre quel numero diventerebbe “ricettivo” sottostando perciò al regime fiscale di un albergo, decisamente più gravoso, e non potendo pertanto più usufruire dei vantaggi della cedolare secca. «La nostra non è una battaglia contro questo tipo di locazione – aggiunge il presidente Bertin – tanto che riteniamo che, dalla norma, dovrebbero essere esclusi i proprietari di un solo appartamento destinato a questo tipo di affitto. Diverso invece il ragionamento per chi di airbnb ne ha fatto una professione». Un tema, come si diceva, tornato prepotentemente alla ribalta in questa fase di post-pandemia o, comunque, di pandemia sotto controllo con flussi turistici più consistenti e città, Padova compresa, nuovamente meta di visitatori.

Covid

«Il Covid – segnala Dell’Uomo – aveva “anestetizzato” il problema riequilibrando la situazione: zero turisti, per cui meglio l’affitto sicuro di una famiglia o quello di uno studente (peraltro raro anche questo considerato che per quasi un biennio buona parte dell’attività universitaria si è svolta da remoto). Con la ripartenza dei viaggi c’è stata una nuova inversione che si è scaricata immediatamente sugli affitti per studenti, finalmente tornati in città ma in difficoltà a trovare un alloggio ad un prezzo ragionevole». Pacifico che la sproporzione sia evidente fra chi di airbnb ne ha fatto una professione e chi invece è rimasto fedele allo spirito sharing del primo airbnb: a livello nazionale, si stima che il 75% delle offerte sia appannaggio di chi affitta interi appartamenti ai turisti dopo avere archiviato l’offerta di affitto a famiglie e lavoratori residenti; mentre il restante 25% offrirebbe ospitalità in una stanza libera della propria casa senza alterare il tessuto sociale della città, del quartiere, dialogando con l’ospite e magari facendogli da Cicerone. «Il distinguo non è poca cosa – ammette Bertin – perché i secondi sono privati cittadini che arrotondano e socializzano, mentre i primi sono spesso multiproprietari, che così gestiscono anche più immobili, in sostanza vere e proprie aziende che trovano più remunerativo lavorare con il popolo del trolley, che spesso neppure incontra, piuttosto che con i concittadini e dunque è più che giustificato che rientrino in una tassazione parificabile, in tutto e per tutto, a quelle degli alberghi»

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