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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Lutto nel mondo accademico: il Covid si è portato via Marco Dogo, lo storico che dedicò la sua vita ai Balcani

Lo studio della storia per costruire ponti tra le diverse culture. Era questo il tratto distintivo dello storico padovano, Marco Dogo, ordinario di Storia dell’Europa Orientale dell’Università degli Studi di Trieste per moltissimi anni

Lo studio della storia per costruire ponti tra le diverse culture. Era questo il tratto distintivo di Marco Dogo, ordinario di Storia dell’Europa Orientale dell’Università degli Studi di Trieste per moltissimi anni e venuto a mancare nel pomeriggio di ieri 18 aprile all’ospedale di Cattinara, dopo essere stato contagiato dal Covid-19. Amato dai suoi studenti per la rigorosa competenza e un discreto anticonformismo, Dogo era giunto a Trieste dopo la fondazione del Dipartimento di storia avvenuta a metà degli anni Settanta, quando la storiografia locale poteva contare su storici di assoluto livello come Giovanni Miccoli, Teodoro Sala, Marcello Flores ed Elio Apih. Il 75enne padovano era recentemente andato in pensione ma continuava a dedicare allo studio della storia molto del suo tempo libero. 

Il rapporto con i Balcani 

Nato a Padova nel 1946, Dogo si era innamorato della storia dei Balcani anche grazie ad un soggiorno a Belgrado, allora capitale della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, all’inizio degli anni Settanta. «Ho avuto un rapporto di lavoro e di amicizia durato praticamente tutta la mia vita adulta - così lo ricorda uno dei suoi allievi, Bojan Mitrovic - Era un maestro che ti lasciava arrovellare, talvolta anche per mesi, su un problema, per dare poi un aiuto sottile, con il titolo di qualche libro o con un’ipotesi da verificare. Riposa in pace Marco, ci mancherai». Dogo aveva collaborato per decenni con l’Istituto regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea e della rivista “Qualestoria”, di cui è stato membro attivo del Comitato scientifico. Il suo presidente, Mauro Gialuz, ha voluto stringersi attorno alla famiglia per l’improvvisa perdita.

La multiculturalità, le lingue e i rapporti

«Con lui non si scherzava quando si trattava di fonti – così lo storico Patrick Karlsen -, era parte di quella vecchia scuola molto rigorosa che, in relazione all’Europa orientale, aveva capito che si doveva studiare quella storia soprattutto per comprendere a fondo la contemporaneità delle identità nazionali e dei fondamentalismi». Appassionato viaggiatore (amava i viaggi in motocicletta), il pensiero di Dogo affondava le radici nella multiculturalità, fuggendo da definizioni ed etichette alla moda, e dando un fondamentale contributo nelle relazioni tra le diverse comunità con cui collaborava, quella serba e quella ebraica su tutte. Possedeva la padronanza del serbocroato, del macedone, leggeva il bulgaro e, oltre all’ottima conoscenza dell’inglese, capiva bene anche il turco. All’interno del Dipartimento di storia Dogo intratteneva buoni rapporti con tutti i colleghi, Giuseppe Trebbi e Tullia Catalan su tutti. Profondissimo conoscitore della penisola balcanica, la storiografia italiana e quella internazionale perdono uno dei suoi interpreti migliori. 

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