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Mille e uno trapianti di cuore. Il professor Gerosa: «Padova punto di riferimento per tutta Italia»

«Abbiamo molti obiettivi di fronte a noi ma serve investire nella ricerca. Mi ha molto colpito sentire chiamare eroi i medici che lottano contro il Covid. Come se per anni non si fosse guardato a quel che fanno ogni giorno»

Mille e uno. Quando lo raggiungiamo al telefono per congratularci col professor Gino Gerosa per il millesimo trapianto di cuore effettuato a Padova, sono già mille e uno. Padova è prima nei trapianti ma anche il primo centro per impianti di Ecmo in Italia. Una “pompa salva cuore”, detto in maniera molto volgare. Ne sono stati impiantati quattrocentoventi in tre anni dall’equipe del professor Gerosa. «Il millesimo trapianto - spiega soddisfatto il professore - è la cartina tornasole di un lavoro enorme e di una equipe che ha lavorato in maniera incredibile in questi anni. Siamo un punto di riferimento per pazienti da tutta Italia».

35 anni di storia

Saranno trentacinque anni l’11 novembre prossimo, da quando, era appunto il 1985, il ministro della Sanità, Costante Degan, firma due decreti di autorizzazione al prelievo e al trapianto di cuore destinati al polo veneto e a quello lombardo. All’Istituto di chirurgia cardiovascolare dell’Università di Padova ci sono tre i pazienti ricoverati in attesa di un cuore nuovo. Il 13 novembre è disponibile un donatore, un diciottenne di Treviso deceduto in un incidente stradale. Rimane epico il racconto del prelievo dall’Ospedale regionale Ca Foncello e la corsa fino a Padova. E’ il professor Vincenzo Gallucci che guida l’équipe che provvede all’espianto. Lo stesso Gallucci porta il cuore a Padova dopo una corsa in auto di mezz’ora. Alle 3,35 inizia l’intervento che finisce all’alba del 14 novembre. Il destinatario del cuore dello sfortunato ragazzo trevigiano è Ilario Lazzari, un falegname trentottenne di Vigonovo (Ve), affetto da una miocardiopatia particolarmente grave. Per lui da quel giorno inizia una nuova vita. L’équipe padovana è allora ovviamente guidata dal professor Gallucci e composta da quattro chirurghi: Umberto Bortolotti, Alessandro Mazzucco, Giuseppe Faggian. Il 26 novembre a Padova ci sarà il secondo trapianto di cuore, sempre compiuto dall’equipe di Vincenzo Gallucci, su un paziente di nome Giacomo Barbieri. E il 16 febbraio del 1986, sempre a Padova, c’è il primo trapianto di cuore-rene. Il resto è storia che porta ai giorni nostri.

I giorni nostri

E i giorni nostri sono rappresentati da un’altra importane equipe, quella del professor Gino Gerosa. Sono le 19 e 30 di venerdì 17 aprile, quando lo raggiungiamo al telefono. «Di solito, prima del Coronavirus, il weekend mi piaceva passarlo a Rovereto, in Trentino, il posto dove sono nato. Anche perché sono mesi ormai che non vedo mia madre, ha novant’anni e non è mai passato un periodo così lungo senza che non ci vedessimo. E’ in una casa di riposo che per fortuna ha chiuso tutto e messo in atto dispositivi di contenimento già all’inizio del mese di febbraio, ben prima che scoppiasse la pandemia. Almeno di questo punto di vista si può stare tranquilli. Io sono sempre rimasto a Padova da quando è cominciata l’emergenza».

Il professor Gerosa

Trasmette un’energia fortissima il professore. Oltre che reduce dalla sala operatoria ha pure appena terminato una lezione online con i suoi studenti. Il commento tecnico all’intervento all’intervento, è talmente circostanziato e preciso che è assolutamente impossibile ricostruirlo e il rischio di usare il termine errato è dietro l’angolo. Quindi soprassediamo rimandando i lettori a riviste scientifiche qualificate. Ascoltarlo è un piacere. E’ un continuo esaltare la sua equipe. Non è solo la qualità del lavoro ma traspare proprio una unità di intenti certificata dalla consapevolezza di essere i primi della classe. Questo però, non va frainteso, non è esposizione vanesia di manifesta superiorità nel campo degli interventi al cuore ma il porsi sempre obiettivi più importanti. Per esempio riuscire a portare a termine il progetto di un cuore artificiale tutto italiano al quale il professore sta lavorando da anni. Basti pensare che il team di cardiochirurghi diretti da Gerosa ha eseguito il primo impianto in Italia di cuore artificiale totale nel 2007, sempre a Padova. «E’ difficile perché non ci sono le risorse. Non si investe nella ricerca. Ma questo non oggi, da sempre. Poi però non stupiamoci se quando guardiamo le conferenze stampa dei capi di Stato di qualsiasi Paese e non vediamo nelle equipe di esperti un italiano. Se non ne è a capo ha comunque sempre un ruolo di rilievo. Se i migliori vanno all’estero da tempo, tutti preparatissimi, forse qualcosa in questo sistema c’è. E lo dico da una Regione dove la Sanità funziona. Lo dimostra la gestione dell'emergenza Covid. Poi tutto è migliorabile ma i veneti sono abituati molto bene e a volte, quando si è un po’ viziati, non ci si accorge di essere molto fortunati», dice quasi scherzando il professore. Una battuta non la nega mai.

Ricerca

Si fa molto serio quando lo incalziamo sulla questione ricerca che ci riporta quindi al precariato dei ricercatori, alla cosiddetta fuga dei cervelli e così via. Più che serio è la prima volta che avvertiamo amarezza nelle sue parole: «Vede - lo dice rallentando il ritmo della parole - questo è uno strano Paese. Ho sentito per settimane parlare di medici eroi e questo mi ha messo molto a disagio. Sono morti dei medici, non scordiamolo. E sono morti facendo il loro lavoro. E chi per fortuna continua a lavorare negli ospedali, nello specifico in questo momento in quegli ospedali dove sono morte tante persone, non sono eroi. O lo sono tutti i giorni, perché fanno ogni giorno qualcosa di eccezionale, anche tre mesi fa lo facevano. Eppure nessuno ci pensava e nessuno li tutelava, che vuol dire tante cose. Tutte importanti. No, chiamarli eroi vuol dire non assumersi responsabilità, delegare allo straordinario ciò che è ordinario, nel senso più alto del termine, naturalmente». In fondo anche noi l’abbiamo chiamata per rendere omaggio alla sua equipe all’ospedale di Padova, ma forse ci dobbiamo ricordare di voi anche quando cercate fondi per la ricerca: «Aspetto una vostra chiamata, allora», ci dice salutando il professore. 

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