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Come invecchiare in salute? Ci pensa la Fondazione Oic: «Servono le relazioni»

Fabio Toso: «E' solo così che la mente si mantiene viva e la persona continua ad essere protagonista. In questo i commercianti di vicinato sono l’esemplificazione più evidente»

La parola d’ordine per non invecchiare? Relazionarsi. «Perché è con le relazioni che la mente si mantiene viva e la persona continua ad essere protagonista. In questo i commercianti di vicinato sono l’esemplificazione più evidente». Parole di Fabio Toso, direttore generale della Fondazione Oic, intervenuto oggi 2 dicembre nella sede dell’Ascom Confcommercio di Padova alla presentazione del “Progetto training partecipativo in vitality community”, un’iniziativa che intende offrire alcune risposte alla fatidica domanda: “Come sarà la mia vita quando sarò in pensione?” e che, accanto all’OIC, vede la partecipazione di Confcommercio Ascom Padova, Assindustria Veneto Centro, ULSS 6, Azienda Ospedaliera e Comune di Padova oltre ai partner del Terzo Settore Agorà, Lab. Terza Età Protagonista, V.A.d.A. Civitas Vitae, V.A.d.A. Nazareth, I.A.S.I. Pronto Anziano, Medici in strada Padova, Centro Ascolto Padova Nord, Pensionati e Famiglie Padova e Insieme per mano.

Il progetto

Cosa si proponga il progetto, che tutti potranno conoscere attraverso il webinar programmato per martedì prossimo, 6 dicembre alle 13 (per iscrizioni: https://bit.ly/oicpens2022)  lo hanno ben riassunto i partecipanti alla conferenza stampa: oltre a Toso, Silvana Bortolami, coordinatrice Rete Utenti per Caso; Silvia Dell’Uomo, vicepresidente Confcommercio Ascom Padova; Fabio Verlato dell’ULSS 6; Anna Barzon, consigliere comunale, componente della VI Commissione Consiliare “Politiche per la promozione dei Servizi alla Persona” e Maria Vittoria Nesoti, dirigente medico dell’Azienda Ospedale-Università Padova. Innanzitutto: favorire la partecipazione degli anziani nel ruolo di docenti e discenti in percorsi di empowerment e formazione per ricoinvolgere, rigenerare anziani; sostenere il superamento del “digital divide” implementando l’uso delle ICT come fattore di inclusione sociale e la partecipazione degli anziani; sensibilizzare i lavoratori, ancora dipendenti sia del pubblico che del privato, che si trovano negli ultimi anni di attività lavorativa, a conoscere “come sarà la vita in pensione”,  di comprenderne il cambiamento, di superare ciò che può spaventare e di farsi un’idea delle diverse possibilità di impegno una volta usciti dal mondo del lavoro.

Il cambiamento

«Si tratta – è stato detto - di offrire alcune risposte pratiche tratteggiando alcune dimensioni e opportunità per prepararsi al cambiamento». Un cambiamento che, in verità, come ha sottolineato la vicepresidente dell’Ascom Confcommercio, Silvia Dell’Uomo, non è esattamente uguale per donne e uomini: «Le prime - ha detto la vicepresidente - guardano all’uscita dal mondo del lavoro e all’approdo alla pensione come una sorta di “liberazione” da uno dei tanti impegni quotidiani, mentre per i maschi l’uscita dal mondo del lavoro significa molto spesso uscita dall’unica ragione di vita collettiva».

Invecchiamento

Tornando al progetto va detto che questo ha attivato una sorta di “scuola per la cultura dell’invecchiamento in salute”: percorsi di empowerment e formazione alla cultura della longevità e dell’invecchiamento attivo, con un totale 40 incontri.  Gli ambiti del percorso riguardano le risposte ai bisogni dell’anziano per invecchiare bene: si trattano temi legati al benessere psicologico e fisico (nutrizione, memoria, stili di vita), al supporto al cambiamento nei passaggi d’età, alla consapevolezza della persona in pensione di riprogettarsi in un ruolo nuovo e/o come volontario (competenze relazionali, relazione d’aiuto, ascolto empatico, etc); conoscenza delle associazioni e servizi locali/comunali per le persone anziane al fine di offrire risposte a persone in stato di bisogno e comprendere i vantaggi della socialità; competenze digitali con apprendimento e uso della tecnologia (chat, social, videochiamate singole e di gruppo). «Proprio la difficoltà di rapportarsi alla tecnologia – è stato osservato - può rappresentare un ulteriore fattore di isolamento visto che, sempre più, il rapporto con le pubbliche amministrazioni e la sanità avvengono attraverso la rete. Non saperla “padroneggiare” equivale ad essere ancora di più ai margini».

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