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Polemiche per il permesso premio a Savi. Dal carcere: «Lo prevede la Costituzione. Nessun uomo è il suo reato»

Savi sta scontando l'ergastolo a Padova. Rossella Favero della Cooperativa Altracittà: «Dopo venticinque anni non solo ha fatto un percorso personale, che ha scelto, seguito da persone esperte e competenti, ma ha pure fatto un percorso carcerario»

Polemiche per un nuovo permesso premio concesso per Natale ad Alberto Savi, fratello minore di Roberto e Fabio, i tre della tristemente famosa "Banda della Uno Bianca". Savi sta scontando l'ergastolo a Padova, detenuto presso il carcere Due Palazzi. «Sono anni che va in permesso, non è mica la prima volta. Ormai è diventata una cosa normale, lui ha fatto più di venticinque anni di carcere e può usufruire di questi benefici. Poi lui è una persona molto discreta che agisce in modo da non finire nelle cronache, poi però ci finisce senza motivo». Rossella Favero è la responsabile del progetto ‘AbitareRistretti’, della Cooperativa Altracittà. L’abbiamo contattata per sentire che ne pensa del can can che ha scatenato questa notizia, lei che Alberto Savi lo conosce molto bene. Per i familiari delle vittime ogni volta che si parla di permessi ai Savi è una ferita che si riapre. «Dopo venticinque anni non solo ha fatto un percorso personale, che ha scelto, seguito da persone esperte e competenti, ma ha pure fatto un percorso carcerario. La persona, lo dobbiamo ricordare sempre, non è il suo reato. Io molto laicamente credo nel buono delle persone e sono certa che si può lavorare attorno a questo. E lo dico confortata dalla legge».

Uno Bianca

Negli anni tra il 1987 al 1994 quelli della Uno Bianca, capeggiata dal maggiore dei fratelli Savi, Roberto, compiono più di 100 rapine e almeno 24 omicidi. Tra le loro vittime anche i tre carabinieri che svolgevano il loro servizio di pattuglia. Vennero trucidati dalla banda: uccisi sotto il fuoco pesante delle mitragliette, rimasero sul terreno Andrea Moneta, Mauro Mitilini, Otello Stefanini. Era 4 gennaio del 1991, trent'anni fa. «E’ evidente - evidenzia Rossella Favero - che quando cade questo anniversario siamo consapevoli di cosa rappresenti questa data». La vicenda giudiziaria della banda della Uno bianca è stata chiusa dalle sentenze definitive che hanno condannato i tre fratelli Savi e gli altri componenti, Marino Occhipinti all’ergastolo e Gugliotta a 18 anni. Vallicelli patteggiò 3 anni e 8 mesi. 

Dolore

E col dolore delle vittime come si fa, chiediamo a Rossella Favero: «I familiari delle vittime hanno diritto al rispetto ed è il primo sentimento che abbiamo quando parliamo di persone che hanno commesso dei reati. Il primo pensiero non può che andare sempre a loro. Ma la Costituzione prevede, all’articolo 27, la rieducazione, la possibilità per il condannato di fare un percorso nuovo. Sulla base della legge si agisce, poi è chiaro che ci possono essere dei punti di vista diversi».Rossella Favero usa spesso il termine sobrio quando parla di Alberto Savi e non possiamo non farlo notare visto che le azioni della Uno Bianca erano di quanto più efferato si è visto negli ultimi trent’anni nel nostro Paese: «Alberto Savi non si vuole mettere in mostra, non rivendica nulla di strano, infatti non ha mai fatto nulla di eclatante da quando è detenuto. Quando dico che Alberto Savi è una persona sobria lo dico in questo senso, il suo è un atteggiamento di sobrietà proprio per il rispetto per le vittime che ha procurato. Alberto al contrario di altri, come ad esempio i fratelli, non fa nulla per attirare l’attenzione su di sé. E’ consapevole, molto consapevole del dolore che ha procurato. Se lo porterà dentro per sempre. Sobrio in questo senso».

Fratelli Savi

Ha ancora rapporti con i due fratelli, i veri leader della banda? «Lui non ha più, da anni, nessun rapporto con i fratelli. Questo lo posso dire con certezza. Ci sono però cose delle cose private, i percorsi di presa di coscienza che sono riservati. Quindi non posso certo dire molto di più». L'ex poliziotto dal 2017 può usufruire di permessi, regolarmente, mentre gli altri due Savi, i capi del gruppo, Fabio e Roberto, anch’essi ex poliziotti, sono in carcere a Bollate (Milano) e attualmente non godono di nessun beneficio.  «Alberto ha prima lavorato per qualche anno al call center della cooperativa Giotto, poi è entrato nel laboratorio di digitalizzazione. Ha seguito molta formazione in questo campo, ma ora, a causa del Covid sta lavorando come operaio perché molti laboratori sono fermi. E ’fondamentale il rispetto per le vittime, ma l’uomo non è il suo reato, e vale anche per chi ha commesso atti terribili. Noi lavoriamo per far emergere cosa c’è di positivo nelle persone. Ovviamente la persona ci deve mettere la sua volontà e la sua coscienza. Tutte le cooperative sociali che operano all’interno del carcere hanno questo intento, infatti andiamo molto d’accordo ed è facile cooperare».

Media e Covid

Ultimamente si è parlato di carcere di Padova solo per i suoi "detenuti eccellenti", prima Donato Bilancio e ora appunto Alberto Savi: «La stampa generalmente quando parla dei detenuti si scorda il contesto. Faccio un esempio, qualche settimana fa qualche giornale ha scritto che Alberto, come Donato Bilancia che poi è morto, era positivo al covid. Alberto era semplicemente in isolamento, ma non è mai stato positivo al Covid. Mi è spiaciuto perché si è persa l’occasione di parlare di come il carcere ha reagito al Covid e di questo invece ci sarebbe eccome da discutere. Io sono arrabbiata su come si sta gestendo in carcere questa emergenza. Magari ne parliamo un’altra volta». Lo prendiamo come un impegno anche se insistiamo sul fatto che certe figure hanno un richiamo diverso: «E’ chiaro che ci sono dei detenuti su cui si concentra l’attenzione dei media. Bisogna distinguere tra la morbosità e la ricerca della verità».

Nessun manovratore o complotto

Lei che idea si è fatta della vicenda? Si è parlato di depistaggi e di tante strane cose in questi anni: «Io non sono un’esperta dei reati della Uno Bianca ma la mia impressione è che chi pensa a complotti dietro a questa vicenda, sbaglia. I motivi probabilmente sono meno complessi di quanto si pensi, ed è per questo secondo me è ancora più terribile quanto avvenuto. La vicenda della Uno Bianca, l’ho sempre detto ad Alberto, è una di quelle storie con cui si fa fatica a fare pace, proprio per l’efferatezza insensata. Questo mi viene da dire ma non mi faccia aggiungere altro».

Banda Uno Bianca-2



 


 

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