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«Se fate i bravi», il film di Collizzolli che ci ricorda quando fu sospesa la democrazia

Presentato a Venezia, il film ci riporta ai giorni di Genova 2001 ma ponendo l’attenzione sulle conseguenze di quel momento storico sulle persone. Il documentario espone le ferite emotive di una generazione

«Non si può parlare di giustizia quando un Paese non sa giudicare sé stesso», sono parole pronunciate da una sopravvissuta, una coraggiosa giornalista messicana che da anni è minacciata da più parti per ciò che racconta, Marta Duràn de Huerta. E in fondo, che nel suo paese si muoia con facilità e nei modi più cruenti è un dato talmente acquisito che quando succede una mattanza in qualsiasi parte del mondo, per rendere bene l’idea si parla di “macelleria messicana”. Un modo di dire che comprende talmente tutto il peggio che quasi non bisogna aggiungere altre parole. Fu usata anche qui, in Italia. In una precisa occasione, quando nel luglio del 2001 nella scuola Diaz si consumò una mattanza senza precedenti. Una tragica notte, impossibile da rimuovere per quanto efferato e sanguinoso fu il delitto compiuto dal reparto mobile della Polizia di Roma, comandata da Vincenzo Canterini. Quella storia finì paradossalmente però per offuscare e mettere in secondo piano quanto avvenne i giorni prima, in quelle che tutti ricordano come "le giornate di Genova". Già perché per quanto tragici e drammatici furono i fatti della Diaz, rappresentano però solo l'ultimo passaggio al termine di tre giorni in cui di fatto fu sospesa la democrazia nel nostro Paese. Perché di questo si tratta. I tentativi di depistare, colpevolizzare, criminalizzare e cancellare quello che veniva definito il Movimento dei Movimenti, non si può dire che non abbiano colpito nel segno.

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La lunga premessa per dire che “Se fate i bravi” del regista padovano Stefano Collizzolli è come si dice un'opera necessaria perché ci riporta proprio lì, a Genova e a quei giorni. E lo fa partendo dal punto di vista del regista stesso che come altre centinaia di migliaia di ragazzi volevano essere protagonisti di quello che poteva e doveva essere una svolta epocale per rimettere al centro dell'agenda politica mondiale il disarmo, la libertà di circolazione delle persone e non solo delle merci, l'affermazione di diritti fondamentali che sono ancora negati in tante parti del mondo, ancora oggi. E poi la difesa dell'ambiente, della Terra. C'erano vertenze di tutti i tipi rappresentate sia nel Genoa Social Forum che in piazza nei giorni delle proteste. Stefano Collizzolli parte da Padova con alcuni amici, non con il treno delle "tute bianche" però. Collizzolli è nel film, come colui che poi sarà il vero protagonista del film, un giovane come tanti che va a Genova «perché è giusto».

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Non lo fa ricostruendo il percorso del “Movimento dei movimenti”, che comprendeva dalle realtà associative ai centri sociali, dalle Ong agli ambientalisti ecc… gente da tutto il mondo si era data appuntamento a Genova per cercare di imporre ai potenti un’agenda diversa rispetto a quella che veniva proposta. Si denunciavano i limiti della globalizzazione che di fatto liberava soldi e merci ma non le persone. I temi sul piatto erano quelli di cui si parla ora, quando ci si accorge che non sono stati realmente affrontati, ma questo è un altro discorso che coinvolge chi quel percorso lo ha vissuto da dentro. E il film, da una parte saggiamente ma anche per impossibilità e tra poco spieghiamo anche perché, sceglie di non affrontare quei giorni ascoltando i portavoce del Genova Social Forum, che si intravedono all’inizio del film (Casarini, Agnoletto ecc…) ma quello che, se si parlasse di curve, sarebbe un “occasionale”. Uno che la tifa quella squadra ma non è che è un ultrà che va alle riunioni e organizza le coreografie. Però quando ci va a tifare, lo fa scientemente, per partecipare, per esserci. Questo dà una grande opportunità, di affrontare un tema che altrimenti sarebbe stato difficile far emergere, quello degli abusi indiscriminati.

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E il film fa esattamente questo, mostra in maniera chiara che c'era una volontà politica nell'applicare questa volontà. A dirlo senza troppi giri di parole è proprio un esponente dello Stato, il giudice Alfonso Sabella, già sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo e responsabile delle carceri provvisorie di Bolzaneto e San Giuliano, istituite proprio in occasione del G8. Il suo nome rientra tra quelli dei 28 condannati al risarcimento dei danni per i fatti di Bolzaneto. Lo dice in maniera chiara nel confronto con una vittima di Bolzaneto, lo psicoterapeuta Evandro Fornasier che ventuno anni fa viene fermato dalla Guardia di Finanza con Laura, la sua fidanzata di allora. E' vero che non si può stilare una graduatoria dei delitti e delle violenze perpetrate ma si può per certo dire che se la Diaz è una imboscata pensata per costruire la storia delle molotov trovate ma perché messe dagli stessi poliziotti come si scoprirà prestissimo, quanto accaduto a Bolzaneto era premeditato. Il racconto di Evandro Fornasier è lucidissimo, ordinato e potentissimo. Ogni parola è pesata e pensata ma non è programmata. Non legge un copione o degli appunti, ce l'ha dentro. Il dolore, la paura, la frustrazione, lo spavento, l'umiliazione subita, le ricorda tutte e le porta alla luce, ne parla, in maniera così chiara che è impossibile perdere il filo. Lui, un ragazzo come tanti che si era unito a organizzazioni sindacali, associazioni, centri sociali e il resto che in piazza c'era, con il desiderio di chi appunto voleva esserci e invece si è ritrovato rinchiuso, ammanettato, picchiato, insultato, ancora picchiato, ancora insultato per due interi giorni. Senza un motivo, senza un perché. Nella caserma di Bolzaneto, dal 20 al 22 luglio 2001, furono commessi “ atti di tortura”, come ha stabilito la Corte Europea dei Diritti Umani nel 2017, condannando l’Italia per le azioni dei membri delle forze dell’ordine e perché lo stato italiano non aveva condotto un’indagine efficace su quei fatti. Nella sentenza di Strasburgo, visto il ricorso di 59 delle circa 300 persone passate nella caserma in quei giorni, si legge: «I ricorrenti, trattati come oggetti per mano del potere pubblico, hanno vissuto durante tutta la durata della loro detenzione in un luogo ‘ non di diritto’ dove le garanzie più elementari erano state sospese» .Ascierto Nucera Palazzo Moroni scuola Diaz-2"Fate i bravi" è un documento importante, un modo per fare i conti con quanto accaduto, per non farlo cadere nel dimenticatoio. Chi ha subito le violenze e le torture, a Genova nel 2001, nonostante sia un numero elevato di persone, non sempre ha avuto la forza di farsi sentire. A maggior ragione il film di Collizzolli è prezioso. Ricorda che tutto ciò non è accaduto per caso, che c'è chi fino all'ultimo ha tentato di depistare e cancellare i crimini commessi. Per non andare tanto lontano e stando da dove parte il film, da Padova, ci fu chi addirittura ospitò Massimo Nucera, l’agente che finse di essere accoltellato dentro la scuola Diaz per dare una giustificazione all'azione alla Diaz e tutto il resto, a Palazzo Moroni. Filippo Ascierto, ex carabiniere e responsabile Difesa di An, in quei giorni a capo di una delegazione di parlamentari costantemente presente negli uffici di pubblica sicurezza tra la sala operativa e il comando provinciale dell' Arma alla vigilia dell' assalto alla Diaz. Naturalmente Ascierto ci andò pesntissimo con i giudizi e cercò naturalmente di sfruttare il fatto, mai accaduto, per fini propagandistici. Come lui altri in diverse città. Nessuno di loro, di quelli presenti nella sala operativa, sapeva cosa stava accadendo, a proposito del fatto che «non si può parlare di giustizia quando un Paese non sa giudicare sé stesso».

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