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Venerdì, 19 Aprile 2024
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3500 anni fa, le tracce più antiche del consumo di vino: la scoperta dell'Università di Padova

Lo scavo è quello della Terramara di Pilastri (circa 1600-1300 a.C.), presso Bondeno (Ferrara), diretto dal prof. Massimo Vidale. I risultati sono apparsi sull'ultimo numero del Journal of Archaeological Science (123, 2020, 10526)

Le più antiche prove di consumo del vino, 3500 anni fa, sono emerse in uno scavo del Dipartimento dei beni culturali dell'Università di Padova diretto dal prof. Massimo Vidale. I risultati sono apparsi sull'ultimo numero del Journal of Archaeological Science (123, 2020, 10526).

Le tracce dei bio-markers del vino

«Lo scavo è quello della Terramara di Pilastri (circa 1600-1300 a.C.), presso Bondeno (Ferrara), scavato dal nostro Dipartimento, in collaborazione con la Soprintendenza dell'Emilia Romagna e il Comune di Bondeno, dal 2016 – spiega il prof Vidale -. Le analisi gas-cromatografiche effettuate da Alessandra Pecci (Università di Barcellona) dimostrano che circa più di un terzo dei frammenti di vasi di Pilastri sinora esaminati contengono tracce dei bio-markers del vino, ossia acidi tartarico, succinico e maleico, e che in alcuni casi il contenuto aveva tracce di zolfo e di resina di pino. Lo zolfo potrebbe essere stato aggiunto come anti-fermentativo della bevanda, oppure essere stato usato per sterilizzare i contenitori; la resina, per impermeabilizzare le parti interne dei vasi.

Figura. 1-5

Terramara di Pilastri (Bondeno, FE, circa 1600-1300 a.C.). La superficie del sito in corso di scavo. In primo piano i frammenti di vaso oggetto della ricerca.

I vasi usati per il vino sono tazze usate per bere

D'altra parte, allo stato attuale delle conoscenze non è possibile distinguere le tracce residue di vino da quelle dell'aceto, che potrebbe essere stato usato come bio-conservativo per pesce, carne e verdure al posto del sale, molto più costoso perché doveva essere importato dalle zone costiere, e serviva anche per l'allevamento animale. I vasi usati per il vino sono tazze usate per bere, ma anche dei grandi bacini con capacità di circa 40 litri, il che presuppone una vinicoltura non episodica».

Un intensificato sfruttamento della vite

Queste nuove informazioni, assieme ad analoghe evidenze ottenute dallo scavo del sito contemporaneo di Canale Anfora, presso Aquileia, scavato da Elisabetta Borgna dell'Università di Udi integrano il quadro delle ricerche paleobotaniche, le quali per lo stesso periodo indicano un intensificato sfruttamento della vite, anche se non è ancora chiaro lo status pienamente domesticato o meno della pianta.

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