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MERICORDO. Questi indignados non sono una novità

di Gianni Trivellato - Nella primavera del 1956 anche "noi" studenti dei licei o degli istituti tecnici andammo a manifestare per giorni in via Dante, lanciando slogan ma anche pomodori contro la sede del Partito comunista. Eravamo in buona fede, poi però venne il terrorismo

Gli indignados che nei giorni scorsi hanno in parte paralizzato il traffico cittadino. Gli indignados che protestano in bicicletta e piantano le tende in Prato (oltretutto rischiando di questi tempi un'influenza o una polmonite). Gli indignados che protestano un po' in tutto il mondo e che hanno solleticato la curiosità anche della mia vicina di casa, una comare convinta, prima di vederli in tv, si trattasse di una nuova trasmissione di Canale 5 con Gerry Scotti. Bene, questi Indignados non sono una novità. Qualche riga più avanti vi dirò perché, ora mi sia concesso di fare una mia umilissima considerazione su questo fenomeno e su queste forme di ''indignazione''.

LA PROTESTA NON CAMBIERÀ NULLA.  Pur con tutte le ragioni di questo mondo, crisi politica, difficoltà di trovare lavoro, giovani che non sanno come sbarcare il lunario, l'euro che un po' alla volta sta prosciugando le ultime risorse di un'economia già traballante con la lira: vabbè e allora? Forse queste singolari sortite a pedali o questi soggiorni sotto le tende potranno cambiare qualcosa, in poche parole potranno servire a migliorare se non addirittura sovvertire la situazione? L'augurio ci starebbe tutto, ma la storia e le esperienze del passato dicono il contrario. E per questo sono pienamente d'accordo con la filosofia spicciola della comare mia vicina di casa, secondo la quale, urla, batti e protesta (e questa volta, inoltre, pedala) non cambierà assolutamente nulla.

INDIGNADOS DI IERI E DI OGGI. Dicevo all'inizio che in ogni caso questi indignados non sono una novità del nuovo millennio. Forse l'impegno è più convinto e gli scopi sono più nobili, ma che i giovani (e nel conto ci metto anche tutti coloro che rimangono giovani anche a quaranta o cinquant'anni) siano animati dalla lodevole e fiera convinzione di poter ribaltare il mondo, ci sono sempre stati e sempre ci saranno.

PRIMAVERA DEL '56 A PADOVA. Ricordo una lontana primavera del 1956, quando i carri armati russi invasero l'Ungheria e soffocarono con la forza una più che legittima sollevazione popolare. Il muro di Berlino era ancora ben lontano dall'essere abbattuto e la gente tremava al pensiero di un nuovo conflitto che questa volta sarebbe stato sicuramente e completamente atomico. Bene, per manifestare la nostra solidarietà di giovani ai giovani magiari uccisi, feriti e privati della loro sacrosanta libertà, nacque in tutta Italia un grande movimento di protesta. E anche a Padova, noi studenti dei licei o degli istituti tecnici, andammo a manifestare per giorni in via Dante, lanciando slogan ma anche pomodori contro la sede del Partito comunista.

IN BUONA FEDE, POI PERÒ IL TERRORISMO. Da quella protesta nacque un vero e proprio movimento che raggruppò migliaia di giovani e trovò fertile terreno per crescere nelle università. Per la maggior parte eravamo in buona fede, convinti, ripeto, di poter segnare una tappa importante nella storia dell'umanità. L'illusione, purtroppo, durò un breve spazio di tempo, finché dovemmo fare i conti non solamente con le problematiche della vita e quindi della sopravvivenza, ma anche con i primi ruggiti di un terrorismo che contrassegnò gli anni futuri. Un terrorismo oltretutto nato e cresciuto a Padova. Tutto questo perché noi, maggioranza in buona fede, non eravamo stati capaci di gestire, nel modo migliore, le nostre pur sacrosante intenzioni. Il mio timore, e non solamente il mio, è che con questi indignados possa succedere altrettanto.

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