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Padova, una città di portici e di ponti

Ci sono portici un po' ovunque lungo le vie del centro storico. Li potessimo mettere in fila, uno dopo l'altro, avremmo una lunghezza di oltre 12 chilometri

Uno dei miei nonni diceva: "Siamo celebri nel mondo per un caffè senza porte, per un prato senza erba e un santo senza nome. Ma possiamo anche vantarci per altri primati, a cominciare dai portici e dai ponti" (fonte foto: puntaremirarefuoco.blogspot.it). In effetti mio nonno aveva ragione: a Padova ci sono portici un po' ovunque lungo le vie del centro storico. Li potessimo mettere in fila, uno dopo l'altro, avremo una lunghezza di oltre dodici chilometri, regalando a Padova il secondo posto nel mondo dopo Bologna. La tradizione di costruire in città usufruendo di tale soluzione architettonica è antica, vi sono portici in stile romanico, gotico, rinascimentale, neoclassico e moderno. Rendono possibile l'attraversamento dell'intero centro storico al riparo dalla pioggia e dal sole. Ricordo benissimo che quando frequentavo il Tito Livio, uscendo dal portone secondario in via Gaspara Stampa, potevo giungere a casa senza dover far quasi ricorso, nelle giornate di pioggia, all'ombrello. Allora abitavo con la mia famiglia in zona San Giovanni e seguendo i portici giungevo fino in fondo a via Euganea. Anticamente lo sviluppo dei portici era di molto superiore all'attuale, raggiungendo una lunghezza di oltre venti chilometri. Poi arrivò la dominazione di Venezia e Padova divenne parte della sua Repubblica, agli inizi del quindicesimo secolo: a quel punto molte tra le famiglie più nobili della città, per dare maggiore risalto all'imponenza dei loro palazzi, decisero di eliminare una discreta parte di portici. A distanza di circa cinque secoli possiamo tranquillamente rammaricarci di queste scelte.

I VECCHI MESTIERI. Sempre in tema di ricordi, rammento che in tutta la città proliferavano, proprio sotto i portici, negozi di artigiani che praticavano mestieri oggi quasi del tutto scomparsi. Immagini di bambino mi riportano in via Vescovado a rivisitare le botteghe del calzolaio, del fabbro o del falegname. E se la memoria non mi tradisce vedo ancora uno spazio abbastanza angusto dove lavorava l'impagliatore, esperto nel restaurare le vecchie sedie di cucina fatte di paglia. Ricordo con certezza la bottega del calzolaio, meta abbastanza frequente delle donne di casa perchè un tempo le scarpe rotte non si buttavano, ma andavano aggiustate e si può dire durassero...una vita. Il mestiere del ciabattino oggi non esiste quasi più: il tutto frutto di una involuzione tecnologica che poco alla volta ha cancellato i vecchi mestieri. I tempi moderni ci costringono a correre, correre a volte senza respiro, mentre i vecchi mestieri di un tempo segnavano ben altri ritmi della umana vita quotidiana, e richiedavano sacrificio ma anche molta pazienza e particolari capacità.

UNA CITTA' D'ACQUE. Credo sia giusto rivolgere un invito ai padovani, e cioè soffermarsi per fare una considerazione. E' infatti ben vero che la città sorge sulla terra ferma, in piena pianura padana, ma è altrettanto vero che Padova è una città d'acque, dal momento che sono numerose le vie d'acqua che l'attraversano. E tutto questo "condito" di suggestivi scorci di mura medievali, con palazzi che si riflettono nei canali e che portano le tracce di antichi accessi al fiume, molti dei quali ormai perduti, ma molti altri per fortuna conservati attraverso i secoli. E così possiamo dire che Padova è anche città di ponti, taluni veramente imponenti. Ponte Molino, di origine romana, Ponte San Leonardo, risalente alla fine del XV secolo, Ponte S. Benedetto, Ponte dei Tadi, dal nome di un'antica famiglia padovana, e Ponte  S. Giovanni, inizialmente di forma piana per consentire un passaggio agevole ai carri che portavano la merce nelle piazze e che prende il nome dalla Fraglia dei Barcaroli, una corporazione medievale che là aveva sede. Alla fine di via Savonarola poi, sulla destra, vi sono Ponte Molino e Porta Molino, una delle due porte medievali che si sono conservate (l'altra è Porta Altinate). Porta e ponte derivano il loro nome dai mulini che si trovavano nei pressi fino agli ultimi anni dell'800, e che pare fossero nel Medio Evo oltre una trentina. Ponte Molino è un ponte a cinque arcate di origine romana, restaurato e ricostruito nel 1830. In ogni caso Porta e Ponte Molino sono i resti meglio conservati della cinta originaria, che contava ben 19 porte e passaggi. Si narra che da questa torre Galileo vide i quattro satelliti di Giove.

IL VECCHIO MERCATO DEL PORTELLO. Sempre attingendo ai miei ricordi dell'infanzia, mi rivedo accompagnato da madre e altre donne del vicinato nella grande strada del Portello, dove si svolgeva un mercato molto atteso. Mi pare si svolgesse di giovedì, ed era un po' il supermercato di quei tempi, dove potevi trovare un po' di tutto, dagli abiti ai prodotti alimentari, e a prezzi quanto mai convenienti. Storicamente parlando il Portello è il simbolo più eloquente della presenza veneziana sulla terraferma padovana: questo complesso aveva la funzione di accesso sicuro e protetto alla città. Qui infatti si trovava il porto civile e commerciale e la sede di una corporazione medievale di barcari. Erano costoro i conducenti degli stoirci "burci", grandi barconi trainati lungo le rive dei navigli da cavalli, e usati per il trasporto di merci fino a Venezia. Potremo definirli come i "i tir" dei secoli passati. Continuarono ad essere usati fino agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso poi, una volta caduti in disuso, vennero abbandonati lungo il corso dei fiumi. Qualche relitto di queste vecchie imbarcazioni può ancora essere rintracciato, ormai sommerso dalle acque e dalle alghe. La zona del Portello, dove si riunivano "barcaroli", "cavallanti" e "beccai", noti per le loro risse con gli studenti, era una delle più popolari ed animate di Padova, con la vecchia Porta forse la più bella della città. Il Ponte di Porta Portello è stato costruito in due tempi: i piloni risalgono allo stesso periodo della porta (1518), le arcate invece alla fine del '700. Val la pena ricordare che da qui partiva il celebre "Burchiello" ricordato da Goldoni.

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