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MERICORDO. Se n'è andato il ''Treccani del calcio''

di Gianni Trivellato - Nei primi tempi della sua carriera Sergio Buso veniva spesso citato come "Buster Keaton", per via di una marcata somiglianza con il grande attore comico del cinema muto. L'esordio e le prime soddisfazioni in maglia biancoscudata

Buso debuttò in serie C, nel Padova, quando aveva appena diciotto anni. Già da quegli anni dimostrò, oltre che ad una indubbia dote come portiere, anche una spiccata personalità e una maturità precoce. Tant'è vero che, pur impegnato fortemente nel calcio, non volle abbandonare gli studi. Dapprima ottenne il diploma di geometra e poi si iscrisse anche ad Economia e Commercio. Nei primi tempi della sua carriera di calciatore veniva spesso citato, anche sulla stampa, come ''Buster Keaton'', per via di una marcata somiglianza con il grande attore comico del cinema muto.

UOMO SCHIVO E RISERVATO. Schivo e riservato com'era, dicono non gradisse molto questo soprannome. Di sicuro, anche se non lo diede a dimostrare, fu molto più compiaciuto quando il presidente del Bologna lo definì come il ''Treccani' del calcio''. "Eravamo sull'aereo diretti a Cagliari - raccontava  Bazzoni - e stavamo andando a visionare un giocatore che avrebbe potuto far comodo al Bologna. Durante il viaggio chiesi a Buso se lo conoscesse e lui, in pochi minuti, mi disse dove era nato, quanti anni aveva, la sua altezza e il suo peso, e quali fossero le sue caratteristiche tecniche. A quel punto non potei trattenermi dallo sbottare in una esclamazione. Ma lei, gli dissi, è il Treccani di calcio!''. E fu così che quel soprannome lo seguì per tutto il resto della sua vita.

IL RIMPIANTO DI ROSA. Di Buso hanno commossi ricordi anche Humberto ''Coco'' Rosa e Pippo Filippi. Il tecnico biancoscudato racconta che, il giorno prima di una trasferta a Catanzaro, si rese indisponibile il portiere titolare e fu costretto a schierare in campo Buso appena diciottenne. ''Eravamo nel '68 - racconta Rosa - e debbo essere sincero: temevo molto che la giovane età di Sergio e la sua inesperienza potessero costarci molto. Al contrario il suo esordio fu brillante e in gran parte per le sue parate vincemmo per uno a zero. Restò biancoscudato per quattro anni, vestendo quella maglia per ben settanta partite, e quando i dirigenti decisero di venderlo al Bologna io mi arrabbiai non poco perchè avremmo perso una gran giocatore, ma anche un professionista serio e scrupoloso, un vero esempio per tutti i suoi compagni. Il calcio avrebbe bisogno di tanti personaggi come lui''.

ANNIBALE E IL CALCIO. "Un ragazzo serio - aggiunge Filippi - ma anche un vero professionista, nel senso che sul piano della preparazione e dell'impegno in campo non aveva bisogno certamente di raccomandazioni. Con il tempo diventò un maestro di tattica e sia che nel Padova prima, che nel Bologna poi, ebbi modo di imparare molto di lui. Sia come calciatore prima, che come tecnico poi, si documentò sul calcio con una pazienza certosina, tanto che la sua biblioteca era una vera e propria banca dati calcistica''. E a quanto pare, essendo culturalmente ben preparato e amando la storia, un giorno Buso disse a compagni di gioco e amici che il gioco sulle fasce lo aveva inventato Annibale nel 216 avanti Cristo. ''Cartaginesi e romani - spiegò - stavano preparando la famosa battaglia di Canne durante la seconda guerra punica. Annibale studiò una strategia che doveva risultare vincente, fingendosi debole al centro dello schieramento al punto che le legioni romane si gettarono con foda in quel punto, mentre al contrario lui accerchiò l'avversario con le sue truppe più forti ai fianchi e vinse clamorosamente quella battaglia''.

SODDISFAZIONI ANCHE IN AZZURRO. Dopo Padova e Bologna Buso ebbe esperienze come giocatore in altre squadre, come Cagliari, Mantova e Lucchese. E una volta appese le scarpette al chiodo fu proprio a Lucca che diede inizio alla sua carriera di allenatore, che lo portò con alterne fortune sulle panchina di Fiorentina, Napoli, lo stesso Bologna secondo di Ulivieri. Ma le soddisfazioni maggiori le raccolse indubbiamente in azzurro, quando Donadoni lo volle come suo vice alla guida della nazionale, durante l'esperienza degli europei del 2008. Poi si ritirò gradatamente dalle scene calcistiche a causa della drammatica malattia che lo stava colpendo. Ma anche in questo si confermò uomo serio e riservato, schivo e ben lontano dai clamori della scena. Pur sapendo che non sarebbe riuscito a compiere l'ultima più importante parata della sua vita, quella cioè contro la malattia.

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