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MERICORDO. Stadio Appiani: "Non cancellate il vecchio glorioso tempio"

di Gianni Trivellato - Abbatterne le tribune sarebbe un grande errore, un grosso affronto a un glorioso passato. Non si cancelli un altro angolo di storia di questa nobile città

Amarcord: con questa semplice composizione dialettale, qualcuno molto più celebre di me ha inteso esaltare le virtù di una regione dove lasagne, vino buono e amor focoso si accompagnano a pregi e virtù sia storiche che artistiche. Bene, pur nel rispetto di cotanta nobiltà, e anche a costo di fare la parte del copione, parlando di Padova e della vecchia Padova, anch'io mi affido al nostro buon dialetto, che in fondo ha radici ruzantine e quindi altrettanto nobili.

E seppur da lontano, dove mi trovo a recitare un copione di emigrante dettatomi dalla sorte, ''mericordo'' spesso con molto amore e altrettanta nostalgia di questa città che può vantare un Santo senza nome, un prato senza erba e un caffè senza porte. Ero un ragazzino quando i miei vecchi mi insegnavano queste definizioni, che oggi rispolvero a vantaggio dei più giovani. E poi crescendo con l'età ''mericordo'' degli anni in cui manie di grandezza e mega progetti di governanti ambiziosi maturarono veri e propri smantellamenti di alcune delle parti tra le più caratteristiche della Padova antica.

Tra questi, quello che io considero il più barbaro è stato la copertura del romantico rio che dal centro storico, oggi battezzato Largo Europa, scendeva fin quasi in Prato della Valle, accarezzando i muri solenni dell'Università, scorrendo poi dolcemente ai fianchi della tomba di Antenore, davanti all'uscita del Tito Livio e del vecchio teatro del Ruzzante, raccogliendo qua e là, soprattutto d'inverno, i languidi gemiti dei salici piangenti.

Oggi in questa romantica zona della Padova antica transitano veloci e rumorose le auto, perfino un tram prima voluto, poi abiurato e poi rivoluto tra logoranti schermaglie dei governanti del momento. E dove in quel tempo poi non tanto antico, all'uscita dal liceo si andava a caccia del fumante castagnaccio, oggi in linea con la cosiddetta modernità è difficile trovare un parcheggio. E spesso quel posto occupato magari illecitamente costa ben più del castagnaccio, una multa salata e a volte perfino un ''trasloco'' della quattroruote.

Tribuna ovest dell'Appiani-2''Mericordo''... bei tempi, e galoppando in sella alla memoria mi è quasi d'obbligo, per antica cittadinanza prima e professionale frequenza poi, rivivere i fasti di un luogo oggi quasi dimenticato ma che io considero quasi un tempio della padovanità: il vecchio, glorioso stadio Appiani. Scrivendo di antica cittadinanza stavo a significare che la casa dove risiedevo con la mia famiglia era addossata alle tribune centrali; e siccome quelle tribune, fino al calare degli anni cinquanta, erano fatte in legno, del tipo insomma all'inglese più classico, fu un gioco di ragazzi, scalando la siepe nel giardino, praticare un foro da parte a parte e strizzare un occhio su quanto succedeva in campo.

Il godimento purtroppo durò poco, fino a quando il cerbero guardiano scoprì l'inganno e per noi ragazzi furono ...dolori casalinghi. Poi passarono gli anni, all'Appiani rifecero le vesti principali e io cominciai a frequentarlo non più come appassionato amante del pallone, bensì come scribano biancoscudato. E ''mericordo'' bene i tempi in cui l'Appiani si meritò la fama di ''fossa dei leoni'', perché grazie alla squadra allenata da uno storico ''paron'' e grazie ai ventimila che gravitavano e fiatavano sul campo, squadre illustri come Milan, Juventus, Inter o Torino lasciavano ogni contesa sonoramente sconfitte.

Oggi quel tempio sopravvive in gran parte sconsacrato e c'è chi vorrebbe addirittura cancellarlo del tutto, come se abbattendone i muri si potesse cancellare anche la memoria. Sarebbe, oltre che un grave errore, un grosso affronto ad un glorioso passato, che però si sarebbe potuto estendere al presente e al futuro, come avvenuto in altre città dello stivale.

Ma purtroppo manie di grandezza e presunzione incartocciarono sul finire del secolo scorso le menti di altri governanti che, ripudiato l'Appiani, spesero quattrini ed energie per costruire un nuovo impianto, cosiddetto polifunzionale, nel senso che oltre ad ospitare il gioco del pallone avrebbe dovuto accogliere anche un altro nobile sport come l'atletica. Il risultato è stato, a mio modesto avviso, sconsolante. A parte l'aspetto architettonico che dall'esterno fa apparire lo stadio una sorta di foro boario, la grande atletica vi alberga una volta all'anno, mentre lo spettacolo del calcio lo gusti come fosse un evento quasi estraneo alla tua passione sportiva.

Purtroppo, però, il danno è stato fatto e indietro non si può tornare: ma l'appello che io rivolgo ai governanti del presente, appello che credo condiviso da gran parte della padovanità più vera, è di non voler cancellare del tutto ''il vecchio tempio''. Per non cancellare un altro angolo di storia di questa nobile città.

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