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Mericordo. Altro che ultras: quando anche il tifo era genuino

di Gianni Trivellato - Quando, al termine di un torneo vincente, il massimo del compenso poteva risultare un'ambita fornitura di... salami e bottiglie di buon vino. Quando, al derby Bagnoli di Sopra-Conselve, i primi avevano come spogliatori lo scantinato di una villa e i secondi la canonica

Leggo che un gruppo di ultras padovani sabato ha fatto a botte con loro consimili di Gubbio. E che un padovano è stato perfino arrestato. E allora ricordo i tempi felici quando gli ultras non esistevano, anche se non mancavano grandi rivalità tra opposte tifoserie. Era senza dubbio un altro calcio, dove guadagnavano grandi cifre soltanto i campioni più celebrati e le cosiddette seconde linee si accontentavano, anche nella serie maggiore, di compensi relativamente contenuti. Mi pare fossimo agli inizi degli anni Sessanta quando fece scalpore l'ingaggio di un giocatore svedese da parte del Napoli, il cui presidente era il mitico comandante Lauro che lo pagò la cifra, per allora colossale, di 110 milioni di lire!

SALAMI COME PREMIO. Senza contare quanto accadeva nelle categorie inferiori, quelle di stretta marca paesana, dove vigeva il criterio del più assoluto dilettantismo e il massimo del compenso poteva risultare, al termine di un torneo vincente, una ambita fornitura di... salami e bottiglie di buon vino. Ero ragazzino, ma ricordo bene una domenica in cui un mio cugino più anziano mi portò a vedere un combattutissimo derby di provincia, a Bagnoli di Sopra, tra Bagnoli e Conselve. I giocatori di quest'ultima squadra arrivarono in corriera e per una questione di ospitalità, per indossare le divise e prepararsi alla partita, fu loro assegnato un locale della canonica. I bagnolesi invece (mi pare si dica così) andarono a prepararsi nello scantinato di una villa, messo a disposizione dal proprietario che era un appassionato di pallone, dal momento che in gioventù aveva giocato nelle riserve del Padova.

AUTOSTRADE A TRE CORSIE. Indubbiamente altri tempi, per i quali oggi i più giovani sgranano gli occhi, in un'epoca consumistica dominata dai cellulari e dove in quasi ogni famiglia stazionano due o anche tre televisori. Oggi viviamo un'epoca in cui è praticamente inconcepibile non servirsi dell'autostrada per andare a Vicenza, mentre fino agli anni Cinquanta la rete autostradale contava ben pochi tratti e quasi tutti al Nord. Venti chilometri collegavano Padova a Mestre, unico tratto autostradale nel Veneto, poco più di un centinaio Milano a Torino. La carreggiata era unica, a tre corsie: ma potevano bastare perché le vetture erano decisamente poche.

TELEFONO DIFFICILE. Complicato, a quei tempi, era anche l'uso del telefono. Le conversazioni nell'immediato erano possibili soltanto nell'ambito cittadino. Se da Padova volevi telefonare a Vicenza era necessario richiedere il collegamento ad un centralino nazionale e a volte dovevi pazientare anche delle mezze ore. Figuratevi poi i tempi di attesa con l'estero! I primi cellulari comparvero in Italia agli inizi degli anni Novanta, ingombranti come dimensioni e molto costosi: prezzi che si aggiravano attorno al milione delle vecchie lire.

QUEI SEDICI ANNI. Sono tanti i ricordi e le immagini che si sovrappongono nella memoria assieme alle molte vicende che hanno radicalmente trasformato, in poco più di mezzo secolo, non soltanto il gioco del pallone ma l'intera società, i suoi usi e i suoi costumi. Rispolvero con voi una lontana partita tra Padova e Inter, e mi ritrovo inscatolato come una sardina sulla vecchia gradinata dell'Appiani, con la mia bandiera biancorossa fatta in casa dopo aver rubacchiato alcuni panni dall'armadio del salotto. Avevo sedici anni. Oggi a sedici anni hai già avuto tre o quattro ragazze, giri con lo scooter e al sabato sera torni a casa alle due di notte senza trovare il portone sbarrato.

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