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Venerdì, 19 Aprile 2024
Padova da Vivere

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A cura di PadovaOggi

Comuni del Padovano, San Pietro in Gu: origine del nome ed alcune curiosità

Il primo insediamento nel territorio è probabilmente il Castellaro, presso il quale vi era un terrapieno circondato da un fossato difensivo. Tale costruzione propone il tipico "castelliero" della cosidetta "popolazione Terramare" risalente al XII sec. a.C.

La storia

Si pensa che successivamente nei pressi del terrapieno sia stato costruito un presidio difensivo utilizzato fino al Medioevo, del quale non rimane traccia. L'opera di bonifica della foresta e delle zone acquitrinose originarie ha avuto inizio con la colonizzazione romana, avviata nel 177 a.C. data in cui le città venete si sottomisero all'esercito romano che proveniva da Aquileia. A San Pietro in Gu passa infatti una delle principali vie di comunicazione dell'Italia Settentrionale di origine romana: la Via Postumia, costruita dal console Spurio Albino Postumio nel 147 a.C. e che collegava Genova ad Aquileia, passando per Verona e Vicenza. Nel Medioevo l'opera di colonizzazione da parte dei Benedettini di Vicenza, diede origine probabilmente all'antica Villa di San Pietro in Gu, nominata in una pergamena datata 1191, redatta "in Villa de Sancto Pietro In Gudi sub domo Rodulfi Gastaldi". Il territorio infatti apparteneva al monastero di San Felice e Fortunato di Vicenza e il Gastaldo Rodolfo ne era l'amministratore. Fu in questo periodo che l'abitato assunse l'aspetto di un villaggio organizzato attorno alla pieve intitolata a Sancto Pietro. Furono infatti i monaci a dare un impulso notevole all'opera di bonifica del terreno, che era circondato da boschi e soggetto spesso ad inondazioni. A partire dal 1400 si riscoprì il valore della campagna grazie ad un periodo di relativa stabilità politica derivata dal governo della Serenissima Repubblica di Venezia, che conquistò Vicenza e il territorio circostante nel 1404. Durante il governo veneziano vennero edificate le ville presenti nel territorio. Alla fine del '700 anche il territorio di San Pietro in Gu conobbe la conquista napoleonica della quale è documentato un episodio: il canonico Gian Maria Sale racconta che nel 1796 Napoleone in persona salì sul campanile della Chiesa Parrocchiale per osservare la cosiddetta "Battaglia del Brenta" contro gli Austriaci (l'attuale campanile è del 1817). Il cambianmento più rilevante operato dal governo napoleonico fu l'unificazione dei comuni di San Pietro in Gu, Barche, Armedola e Calonega avvenuta intorno al 1805. Inoltre, nello stesso periodo venne edificato il cimitero, giacchè fino a quel momento i defunti venivano sepolti attorno alla Chiesa. Dal 1815 al 1866 il territorio di Vicenza venne amministrato dall'Impero Asburgico che realizzò la strada Regia Tevisana coincidente con l'attuale ferrovia e annesse il Comune alla provincia di Padova nel 1853. Il primo Sindaco dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia fu Emilio Rizzetto, che promosse la realizzazione di alcune opere pubbliche tutt0ora presenti: l'attuale strada provinciale nel 1878, la stazione ferroviaria e i viali di accesso ad essa nel 1878-1880, la via Biasiati e la sitemazione della piazza nel 1875. Il primo conflitto mondiale vide San Pietro in Gu quale avamposto del fronte di guerra dell'Altopiano di Asiago: vi si trovavano infatti un campo d'aviazione e un deposito di munizioni presso la stazione ferroviaria. Della Seconda Guerra Mondiale ricordiamo il valoroso apporto dato dall'Ing. Giacomo Prandina e dall'Ing. Francesco Tasca nella Resistenza contro i nazi-fascisti dal 1943 al 1945.

Iniziative

Tra le iniziative di San Pietro in Gu anche il Presepe vivente, il Batimarso Fra le tradizioni quasi scomparse, quella del brusamàrso, la transumanza e l'uccisione del maiale.

Batimarso

Il rito del brusamàrso non è specifico della nostra terra, ma lo si ritrova in un’area molto vasta che va dalla Lombardia al Friuli e oltre. Il nucleo fondamentale di cui esso è costituito era presente in tutta la nostra zona, seppur con variazioni che lo facevano in parte diverso da località a località. Nelle ultime tre sere di Febbraio, e in particolare nell’ultima, all’imbrunire, i ragazzi, e con essi spesso anche i giovani, accendevano dei grandi falò in mezzo ai campi e nelle radure non lontani dalle contrade, e giocavano e scherzavano col fuoco attorno ad essi. Bruciavano i resti vecchi della vegetazione che erano rimasti nei campi e che l’inverno non aveva consumato e vi aggiungevano russe (rovi) canàri (gambi secchi di granoturco) e in montagna, ginepro ed altro. Essi andavano poi per le strade facendo baccano con pentole vecchie, coperchi e bandòti. Ma in questa pratica, di cui i ragazzi attendevano ansiosamente ogni anno l’arrivo, era stata, ed è ancora in parte, più varia, più ricca e significativa. Il brusamàrso era in molti luoghi non solo il gioco allegro di ragazzi, ma anche per i giovani ed i più anziani il momento e l’occasione di una cerimonia particolare. I giovani, distinti in maschi e femmine, accendevano due di questi fuochi in luoghi diversi posti a tiro di voce, e scandivano alternativamente una cantilena nella quale proponevano fidanzamenti tra giovani e non più giovani godendo nel fare gli accoppiamenti più strani, in particolare tra le figure più caratteristiche del paese. La cantilena che riportiamo sotto, ricordata con varianti di poco rilievo è la testimonianza più significativa di questa usanza. Tuttavia anch’essa era quasi certamente soltanto un resto di una festa dal significato ben più profondo e vasto, come ci testimonia in modo evidente ciò che avveniva fino ad un paio di generazioni fa, nella valle dell’Agno, e di cui resta, oltre che il ricordo anche una precisa testimonianza scritta. Il brusamàrso, il cui nome riuscirebbe altrimenti incomprensibile dato che si praticava gli ultimi giorni di Febbraio era la “chiamata di Marzo” e significava il gioioso annuncio della fine del duro inverno e insieme era l’invito festoso a godere del sopraggiungere della primavera. Tutti partecipavano spontaneamente alla festa del brusamàrso che durava l’intero giorno, dato che si viveva aderendo pienamente al ritmo del succedersi delle stagioni e la festa era insieme rito, danza, canto, scherzo, che si concludeva allorchè scendeva la sera con l’accendersi dei falò; Il fuoco che rischiarava le tenebri sopraggiungenti oltre a simboleggiare la vittoria della luce sulle lunghe notti invernali o del tepore del caldo sul freddo, aveva anche una funzione e un significato purificatori. Sterpi, erbacce secche, resti inutili della stagione finita, venivano bruciati perchè la vegetazione novella potesse crescere sul campo più libera e più vigorosa, e col fuoco venivano cancellati simbolicamente anche i fantasmi, le preoccupazioni, e resti sedimentati sull’animo nei gravosi giorni della più dura delle stagioni.
La tradizione del brusamàrso che la Chiesa non ha mai voluto o non ha mai saputo accogliere nell’ambito dei suoi riti dandole un crisma religioso, come ha fatto invece per tante altre pratiche, aveva certamente origini antichissime, paganeggianti di remota ispirazione classica e in parte anche di derivazione nordica.
La rapida decadenza di questa usanza può essere un simbolo del mutare di un costume di vita che ha perso il contatto con la natura, con le stagioni e con la terr

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Comuni del Padovano, San Pietro in Gu: origine del nome ed alcune curiosità

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