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Giovedì, 25 Aprile 2024
Padova da Vivere

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A cura di PadovaOggi

Concetto Marchesi, rettore al Bo ai tempi della Resistenza

In tempi come questi, in cui quello stesso concetto di libertà e giustizia che sono fondamento dei paesi dell'Unione Europea, Italia in primis, vengono minacciati e attaccati con vigliaccheria barbara, dà speranza ripercorrere le storie dei grandi uomini che hanno saputo far nascere dal più nero dei momenti della storia mondiale una Repubblica che nella sua costituzione elegge a valori fondanti pace, solidarietà e rispetto per la diversità delle persone. Sono quelle storie di vite coraggiose, spese nella lotta continua contro un potere oscurantista, assolutista e prevaricatore nel nome della libertà, uomini e donne che non esitarono a mettere in dubbio le loro stesse ideologie pur di rimanere coerente ai più elevati ideali di libertà e giustizia, e che seppero mettere a repentaglio la loro stessa vita nella lotta contro il terrore e l'omicidio. Parliamo oggi di un uomo che non nacque e non morì a Padova, ma che a Padova e grazie a Padova ebbe l'occasione di esprimere il suo più grande dono all'umanità: Concetto Marchesi. 

Politico, latinista e accademico, Concetto Marchesi nacque nel 1878 a Catania. Appena quindicenne, Marchesi fondò il suo primo giornale, "Lucifero", da intendersi però non come richiamo al demonio ma nel senso etimologico del termine, Luci-Fero, il portatore di luce: era quello, infatti, un foglio di ideologia democratica e liberale, ispirata alle idee propugnate da personalità come Giosuè Carducci e Mario Rapisardi. Solo un numero uscì, però, di Lucifero, che venne subito sequestrato dalle autorità, il giovanissimo Marchesi subito incriminato per diffamazione nei confronti delle istituzioni e condannato a un mese di carcere che avrebbe scontato al raggiungimento della maggiore età. Scontata la sua pena, Marchesi si laureò a Firenze in Lettere nel 1899, cominciando la sua carriera di insegnante dapprima nei licei di Nicosia, Siracusa, Caltanissetta, Verona, Messina e Pisa. Già socialista da tempo, nel 1915, agli albori della Grande Guerra, Marchesi ottenne la sua prima cattedra di letteratura latina all'università di Messina; in quel periodo si avvicinò sempre più decisamente al socialismo scientifico e internazionalista di Marx, probabilmente spinto dall'omicida sfruttamento sull'uomo dello Stato, che in quel momento si apprestava a inviare al macello centinaia di migliaia di cittadini innocenti sulla base di fraintesi ideali eroistici e nazionalistici. Sull'onda dell'opposizione a un potere che all'epoca non teneva in minimo conto la sacralità della vita umana, Concetto Marchesi aderì nel 1921 al neonato Partito Comunista Italiano. L'anno successivo, Benito Mussolini marciava su Roma alla testa (si fa per dire) delle sue  Camicie Nere: era cominciato il ventennio fascista. 

Nel frattempo, Marchesi continuava la sua formazione continua: proprio nel '22 si laureò in Giurisprudenza, mentre l'anno successivo cominciò per lui il capitolo più intenso della sua vita, nella città nella quale e grazie alla quale ebbe modo di passare alla storia: l'Ateneo di Padova gli concesse nel '23 la cattedra di Latino Medievale. Cominciava così l'avventura di Concetto Marchesi a Padova, un sodalizio che avrebbe segnato il passo della Storia.  Pur di mantenere una persona come Concetto Marchesi in un Ateneo importante come quello di Padova, il Partito Comunista stesso gli ordinò di giurare fedeltà al Fascismo: Marchesi lo fece con riluttanza e mantenne la sua cattedra, una scelta che si sarebbe rivelata essenziale per gli eventi a venire. Anni bui adombravano l'Italia di allora: le "Leggi Fascistissime" avevano castrato le libertà individuali e politiche, gli intellettuali dissidenti, fossero essi comunisti, socialisti o cattolici, venivano spediti al confino uno dopo l'altro, i giornalisti contrari al regime venivano barbaramente ammazzati a bastonate per la strada, ogni tentativo di protesta veniva affogato nel sangue o alla meglio nell'olio di ricino. Concetto Marchesi continuava la sia attività accademica e pubblicistica, intrattenendo sempre contatti con il Partito Comunista, relegato alla clandestinità. Poi venne la tempesta: la Seconda Guerra Mondiale. 
Nella primavera del 1943, dopo la sconfitta in Africa, la rotta del Don e data l'imminenza dello sbarco alleato in Sicilia, il regime Fascista era evidentemente sul punto di crollare: era tempo per gli intellettuali e gli uomini d'azione dissidenti di prendere in mano la sutuazione. Già dalla tarda primavera Marchesi aveva cominciato a prendere contatti con esponenti dell'ala militare dissidente e a organizzare quella che avrebbe dovuto essere una resistenza organizzata ai nazisti. 

L'8 settembre del 1943 però, il giorno dopo dell'insediamento di Concetto Marchesi come Magnifico Rettore dell'Università di Padova, tutto crollò: il re scappò nel Sud Italia, il generale Badoglio, che dal 25 luglio aveva sostituito Mussolini alla guida del governo, aveva lasciato ordini inconsistenti prima di scappare a sua volta, e l'euforia per quella che in un primo momento venne percepita come la fine della guerra si trasformò ben presto in terrore: i soldati tedeschi andavano in lungo e in largo per la Penisola, arrestando, deportando o fucilando militari e carabinieri; i moti di resistenza dell'esercito venivano affogati nel sangue, e quel che rimaneva dei loro componenti scappò o si diede alla macchia: spettava ai dissidenti, ora, organizzare la Resistenza.

In tutto questo, la posizione di una persona come Marchesi, in vista perchè Rettore e notoriamente dissidente, si era fatta precaria e pericolosa: una persona come lui in una posizione come quella che ricopriva era troppo pericolosa per nazisti e fascisti, che avrebbero potuto arrestarlo da un momento all'altro, così il PC gli consigliò di dimettersi dal suo incarico e di darsi alla fuga. Marchesi, però, rifiutò: era consapevole di poter far molto per la Resistenza, così all'ignavia e alla fuga preferì il rischio della morte. Il risultato di quella scelta coraggiosa non tardò a mostrarsi. Il 9 novembre 1943, una folla di studenti carichi di ardimento antifascista affollavano l'Aula Magna del Bo in attesa della cerimonia per l'Inaugurazione dell'Anno Accademico. Improvvisamente, un nutrito gruppo armato di studenti in camicia nera prese possesso del palco, minacciando l'arresto per gli "imboscati" della platea che non avevano risposto alla chiamata alle armi coatta lanciata dalla Repubblica Sociale. Stavano per scoppiare tumulti quando Concetto Marchesi e il prorettore Meneghetti guadagnarono il palco e cacciarono a forza le camicie nere. Due sessantenni disarmati che cacciano a forza un gruppo di militi fascisti armati al culmine della Seconda Guerra Mondiale... dev'esserci voluto non poco fegato. Quindi Marchesi arringò la platea. Fu abilissimo nel suo discorso, che infiammò gli animi senza offrire spunti per una repressione di regime. Ricordò studenti e docenti caduti in guerra, ricordò l'importanza dell'unione fra il mondo della scienza e quello del lavoro e infine, subito prima della conclusione, e lanciò il suo appello: "Giovani, confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se sarà sorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio: confidate nell’Italia che deve vivere per la gioia e e il decoro del mondo, nell'Italia che non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti".

Per chiunque riuscisse a vedere di un palmo oltre la propaganda di regime, quella frase era chiarissima: Resistenza
Subito scoppiarono tumulti fra gli studenti, tanto che il comandante Von Frankenberg pretese l'arresto di Marchesi che fu costretto alla fuga. Proprio dalla fuga, Marchesi rivolse un appello agli studenti attraverso canali clandestini, stavolta ancora più esplicito. Al suo apice si leggeva:

"Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c'è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina".

Per ispirazione diretta di Concetto Marchesi nasceva così il Comitato di Liberazione Nazionale del Veneto, una delle formazioni più attive ed efficaci di cui egli rimase fonte di ispirazione e parte della dirigenza, disseminando quegli anni di scritti appassionati e motivanti in cui troneggiava la consapevolezza che non vi era altro modo, in quel tempo così orrendo, di guadagnare la libertà se non conquistandola. 

Passata la bufera, Marchesi venne eletto all'assemblea costituente e fui tra i Padri che redassero il documento fondante della nuova Repubblica Italiana. Rappresentò il popolo in quel consesso tanto essenziale per la nascita di una nuova democrazia con coerenza e moderazione, decisione e dissenso, talvolta, perfino nei confronti dei suoi compagni del Partito Comunista. Nel 1948 divenne infine deputato, rimanendo in parlamento fino alla sua morte, avvenuta nel 1957.

Mai, però, Concetto Marchesi dimenticò quello che per tutta la sua vita aveva considerato come i valori più forti, gli unici che contassero a prescindere dalle ideologie e dalle appartenenze di partito: la libertà, il rispetto per i diritti dell'uomo, la democrazia. Lo dimostrò nel 1956, quando le truppe dell'Armata Rossa schiacciarono nel sangue la Rivoluzione Ungherese. In quell'occasione, malgrado la linea comune del Partito Comunista fosse favorevole all'intervento sovietico (persino Giorgio Napolitano condannò la Rivoluzione), Marchesi prese posizione a fianco dell'essere umano, condannando senza mezzi termini e in dissidenza con il suo stesso Partito l'invasione sovietica.

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