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A cura di PadovaOggi

Il padovano che eclissò Indiana Jones: Giovanni Battista Belzoni

Se si pensa a un personaggio avventuroso, sapiente e spregiudicato come Indiana Jones, non lo si immaginerebbe mai e poi nato fra le cupole delle chiese padovane, lo si immaginerebbe intriso di una mentalità del "tutto si può fare" che non rispecchia certo la mentalità cittadina, gli si attribuirebbe una formazione da campus statunitense in cui tutte le porte si aprono all'inventiva e all'intraprendenza. E si farebbe bene, perchè al cospetto con il suo corrispettivo padovano, Giovanni Battista Belzoni, l'archeologo reso immortale da Harrison Ford diventa una specie di bibliotecario smidollato. Quella di Belzoni, che molti conoscono per la toponomastica cittadina più che per le sue imprese, è stata davvero una vita da romanzo, che lo portò a passare agli annali della storia come uno dei più influenti egittologi di tutti i tempi.

Nato nel 1778, sotto la Repubblica Serenissima, Giovanni Battista cominciò la sua carriera come bariere nella bottega del padre. Il suo spirito curioso e ardimentoso, però, lo portò a Roma dovestudiò idraulica, ebbe la prima infatuazione con l'archeologia e fu persino monaco per un breve periodo. Conquistato dagli ideali napoleonici, gettò però presto il Saio e cominciò a viaggiare: prima Parigi, poi i Paesi Bassi, quindi in Inghilterra dopo alcuni disordini politici a cui prese parte. In Gran Bretagna rimase nove anni, vi si sposò e acquisì perfino la cittadinanza, e, dato che era una autentica montagna umana di due metri d'altezza e dalla erculea forza, si esibiva sostenendo sulle spalle una piramide umana formata da dieci persone. Inventò una originale macchina idraulica che gli permetteva di integrare il suo spettacolo itinerante con vere e proprie fontane portatili e a Londra si iscrisse perfino alla massoneria, divenendo Cavaliere Templare.

Non contento di una vita che evidentemente, anche se incomprensibilmente, reputava noiosa, Belzoni decise di darsi ai viaggi: Spagna, Portogallo, Sicilia, Malta. Proprio nell'isola Mediterranea, Belzoni conobbe l'emissario del pascià d'Egitto Mehmet Alì, il quale gli confidò che nel suo paese si stavano per intraprendere ciclopici lavori di regolamentazione delle acque. A Belzoni non parve vera un'occasione tanto ghiotta per mettere a frutto le sue capacità in campo idraulico; fu così che si precipitò in Egitto, dove rimase abbagliato dalle bellezze archeologiche che pullulavano in quella terra. Non dev'essersi sentito particolarmente triste, Giovanni Battista Belzoni, quando il pascià rifiutò il prototipo della sua macchina idraulica, dato che probabilmente a quel tempo la sua mente era già focalizzata su di un'altra grande avventura: l'archeologia.

Dapprima, venne incaricato di organizzare il trasporto dell'enorme busto di Ramesse II dal suo sito d'origine verso il Nilo, dove un'imbarcazione lo avrebbe trasportato al British Museum, ma in seguito, infiammato dalla bellezza dei reperti che lo circondavano, si diede a tempo pieno all'archeologia. Tre furono le spedizioni compiute da Belzoni in terra egiziana fra il 1816 e il 1819, durante i quali esplorò e compì scavi, scoprendo tombe di rara bellezza e importanza come quelle di Seti I, Ramesse I e Akhenaton, nonché l'ingresso alla piramide di Chefren, seconda per altezza dopo quella di Cheope. 

Tornò quindi in Europa, fra Padova, che gli tributò onori degni di un condottiero, cui regalò le due sfingi ancora custodite al Palazzo della Ragione e ispirò a Jappelli la costruzione della Sala Egizia del Caffé Pedrocchi, in Inghilterra e in Russia, dove godette disuccesso e considerazione. Ciononostante, non era uomo da restar fermo molto a lungo. Appena quattro anni durò il suo soggiorno europeo, dopodichè la sua sete di viaggi si fece insopprimibile.

Belzoni, così, decise di ripartire, stavolta eleggendo a sua meta la allora mitica città di Timbuctou, cuore del deserto del Sahara. Dopo aver cercato di raggiungerla dal Marocco ma senza successo per l'ostilità delle tribù indigene, provò ad avvicinarvisi dal sud, navigando da Gibilterra fino al Golfo del Benin. Qui, però, la dissenteria lo stroncò il 3 dicembre del 1823.

Così moriva Giovanni Battista Belzoni, all'età di 43 anni, dopo aver visto ed esperito quanto nemmeno chi muore a cent'anni potrà mai vedere ed esperire, ma nemmeno la morte poté mettere la parola fine al romanzo della sua vita: l'ultimo capitolo, infatti, ha i tratti del mistero romantico. Belzoni venne infatti sepolto presso l'allora villaggio di Gwato, a 40 km da Benin City, all'ombra di un albero. Sulla lapide un suo compagno di viaggio fece incidere l'epigrafe "Il gentiluomo che ha messo questa epigrafe sulla tomba del celebrato e intrepido viaggiatore, spera che ogni europeo che visiti questo posto faccia pulire il terreno e riparare lo steccato intorno, se necessario". Quarant'anni dopo, un viaggiatore europeo tornò effettivamente sul luogo della sepoltura, ma non trovò che l'albero: la tomba era sparita, inghiottita da quel continente che Giovanni Battista Belzoni aveva amato fino alla morte: l'Africa.

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