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A cura di PadovaOggi

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La chiesa di Santa Maria dei Servi in via Roma a Padova: un tesoro da scoprire

Via Roma è una delle antiche vie di collegamento tra il centro della città e l'area meridionale di Prato della Valle. Al centro della via incontriamo la Chiesa di Santa Maria dei Servi che fu iniziata nel 1372, per volontà di Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara. L'accesso alla Chiesa avviene normalmente per il portale laterale che si apre nel porticato, le cui eleganti arcate (1511) sono rette da colonne di marmo rosso di Verona, provenienti dalla Cappella trecentesca dell'Arca del Santo.

La chiesa della Natività della Beata Vergine Maria ai Servi conosciuta come Santa Maria dei Servi o Servi è un edificio religioso trecentesco che si affaccia sulla via Roma (già Sant'Egidio) a Padova. Già dei Servi di Maria, è attualmente chiesa parrocchiale nel vicariato del Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta retta dall'Ordine dei Servi di Maria. Le chiese di San Canziano e San Luca sono sue sussidiarie. Per un periodo le furono sussidiarie anche le scomparse chiese di San Zilio e di Santa Giuliana. La chiesa conserva opere d'arte insigni tra cui il Crocifisso ligneo opera di Donatello. La chiesa fu edificata tra il 1372 e il 1390 per volere di Fina Buzzaccarini, moglie del principe di Padova Francesco il Vecchio Da Carrara. L'edificio sorse sulle rovine del palazzo di Nicolò da Carrara raso al suolo dopo che il proprietario nel 1327 tradì la signoria schierandosi con gli Scaligeri. Nel 1378, alla sua morte, Fina lasciò alla sorella Anna, badessa del convento di San Benedetto, il compito di completare la costruzione della chiesa. Nel 1393 Francesco Novello, figlio di Fina e signore di Padova, affidò la chiesa ai Servi di Maria. La chiesa nel XVI secolo fu oggetto di grandi opere di abbellimento soprattutto ad opera di Bartolomeo da Campolongo che costruì nel 1511 il portico verso la via; furono impiegate le dieci colonne ottagonali di marmo rosso provenienti dalla demolizione della trecentesca Cappella dell'Arca del Santo nella basilica di Sant'Antonio di Padova, in fase di ricostruzione. La chiesa era inserita in un complesso conventuale del quale facevano parte il convento dei Servi di Maria, l'Oratorio di sant'Omobono e quello della fraglia di santa Maria del Parto.

Nel 1807 i Padri Serviti furono allontanati e la chiesa fu confiscata e incamerata nei beni del demanio, fu in seguito posta a parrocchia retta dal clero secolare diocesano. Negli anni '20 del '900 l'interno della chiesa fu oggetto di lavori di ripristino che ne recuperarono l'austero aspetto trecentesco. La chiesa fu restituita alla proprietà ecclesiastica solo nel 1963. Di recente è stata oggetto di importanti lavori di restauro. Nel giugno 2014, il Vescovo di Padova ha accolto la richiesta del Superiore dell'Ordine dei Servi di Maria di poter far ritorno nella loro storica Chiesa dopo 207 anni di reggenza da parte del clero secolare. La consegna di incarico è avvenuta il 6 settembre dello stesso anno. Nella chiesa sono sepolti celebri personaggi: il giurista Paolo da Castro e il figlio Angelo, avvocato concistoriale, il padre servita Girolamo Quaini professore di sacra scrittura allo Studio, il conte Emilio Campolongo e Raimondo Forti medici, Girolamo Olzignani e Ottonello Pasino. Il convento ospitò fra' Paolo Sarpi.

Accanto al monumentale Altare della Madonna è visibile l'affresco devozionale con Cristo morto e la Vergine e San Giovanni raffigurati a tre quarti; l'affresco è posto all'interno di un'edicola marmorea policroma lombardesca ed è opera di Jacopo Parisati da Montagnana (come si vede dalle iniziali sul petto di San Giovanni) databile agli anni '90 del 1400. Sulla lunetta è raffigurato Dio Padre benedicente, attorniato da angeli, che sta guardando il figlio, il quale ha portato a termine la redenzione del genere umano. Secondo alcuni l'opera fu dono dello stesso pittore che divenne gastaldo della scuola de' Servi nel 1489 ed è considerata come una delle maggiori opere dell'artista rinascimentale.

Nel febbraio del 1512, per 15 giorni il crocifisso in pioppo di quasi due metri collocato tra altare e presbiterio sudò sangue dal volto e dalla parte sinistra del petto e il fenomeno si perpetuò sino alla Settimana Santa. Il vescovo Paolo Zabarella riempì un'ampolla del liquido miracoloso. L'evento straordinario riuscì a soverchiare l'importanza artistica dell'opera, tanto che la memoria popolare portò la paternità del famoso artista fiorentino alla statua gotica della Vergine conservata sempre nella chiesa, sino al 2006 quando Marco Ruffini, nella prima edizione delle Vite vasariane conservata a Yale, incontrò la postilla ha ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi a Padoa che portò Francesco Cagliotti, uno dei maggiori studiosi dell'opera di Donatello a confermare la paternità del crocifisso miracoloso a Donato Bardi.[4] Grazie ad un lungo e minuzioso restauro,affidato dalla dott.ssa Elisabetta Francescutti ad Angelo Pizzolongo e a Catia Michielan dei laboratori della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Udine,[5] è stata asportata una patina bronzea applicata nell'Ottocento ed è così tornata alla luce una delle più straordinarie sculture lignee policrome del XV secolo: il pathos, l'anatomia perfetta, la misuratissima e monumentale dimensione umana collocano il Crocifisso dei Servi tra i primi lavori di Donatello. In seguito al restauro il Crocefisso è stato esposto nell'Episcopio di Padova con altri due Crocifissi dell'artista: quello ligneo della basilica di Santa Croce di Firenze e il bronzeo della basilica del Santo della stessa Padova. La mostra Donatello svelato ha avuto in cinque mesi più di ventiduemila visitatori. Alla chiusa della mostra, il 26 luglio 2015, il crocifisso ha fatto ritorno nella sua cappella.

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