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Cronaca

Spariti centinaia di milioni ma ancora poche denunce contro NFT: prometteva facili guadagni in bitcoin

Una famiglia che aveva affidato i suoi risparmi alla finanziaria di Silea: «Quasi nessuno vuole denunciare, forse perché molti dei soldi investiti hanno "incerta" provenienza». La Nft si difende attraverso comunicati, sconsiglia la via giudiziaria ma i tre soci sono sempre irreperibili

Sono pochi centinaia, su almeno 4800 clienti, quelli che hanno denunciato. Eppure nonostante i soldi persi, perché di questo si tratta, non sono certo andati dagli inquirenti. Una clientela quella che ha creduto alla proposta della New Financial Technology, molto eterogenea. C'è di tutto, dai professionisti a piccoli risparmiatori, da imprenditori con interessi all'estero a commercianti e nuclei famigliari da tutto il territorio nazionale. Tanti veneti, quindi anche padovani, ma anche lombardi, friulani, piemontesi e laziali. 

10%

Queste persone versavano il denaro che veniva convertito in bitcoin dalla NFT e la società prometteva e garantiva con contratti firmati, il 10% ogni mese, sulla somma. Per tre anni è tutto filato liscio, poi il patatrac. E ora i tre soci della NFT sono irreperibili ai clienti ma attualmente stanziati a Dubai mentre gli investitori sono preoccupati di non recuperare più il capitale. Si parlerebbe, in totale, di una cifra astronomica pari a 250milioni di euro. Ma il condizionale è d'obbligo perché impossibile confermare questo dato anche perché quasi nessuno ha dichiarato quanto realmente versato, meno che meno al fisco, verrebbe da dire. «C'era chi, all'inizio di questa vicenda, si è presentato addirittura con i soldi liquidi. E c'è anche chi dice di aver versato un milione», ci viene raccontato da una famiglia veneta che ha creduto alla NFT. «I soldi arrivavano, l'investimento sembrava sicuro. L'agente che ci ha intercettato, a noi come a tutti gli altri, mostrava inequivocabilmente quanto fosse sicuro e vantaggioso affidare risparmi o investimenti a loro. Una persona che conoscevamo bene». 

New Financial Technology

Nata circa tre anni fa a Silea, nel trevigiano, la New Financial Technology ha una sede legale a Londra (nel quartiere di Soho) e ramificazioni a Dubai. Uno dei tre soci, l'avvocato Emanuele Giullini, ha mandato comunicati via mail e parla via zoom agli investitori. Li tranquillizza e li invita a non sporgere denuncia «perché questo provocherebbe ulteriori problemi e rallentamenti». Giullini si trova negli Emirati. Attraverso un canale telegram, invece, recentemente ha pure pubblicato un video in cui spiega la situazione ai creditori che da qualche mese oltre a non ricevere più soldi non sanno neppure dove siano finiti, ha parlato Christian Visentin. Lui è quello che ha creato il sistema, software, che generava le rendite mensili del 10% attraverso la comparazione e le differenze di prezzo dei bitcoin tra gli exchange. Comprarli a un prezzo basso per rivenderli a uno più alto, di questo si tratta. Il software sembra abbia funzionato bene fino a che  un certo punto, dicembre 2021, quando è stato necessario intervenire per una ristrutturazione del programma. «Un lavoro che sarebbe dovuto durare novanta giorni», spiega nel video inviato a fine agosto nella chat telegram dei clienti, Visentin.

Borrow

Se come detto la società si manteneva attraverso questo meccanismo, nel momento in cui si è fermato il software, per continuare a pagare il 10% ai clienti si è fatta concedere dei "borrow" da delle banche online. Sono dei prestiti che la NFT garantiva con parte dagli asset che aveva raccolto. La ristrutturazione di cui parla Visentin è però andata per le lunghe, superando i novanta giorni. Ma alla fine di quel periodo, i tre mesi previsti, quei soldi però non sono bastati più per coprire i borrow. Inoltre proprio una parte di questi erano in bitcoin che però a giugno crollano da un valore di 43mila euro l'uno a 17mila per poi a luglio stabilizzandosi a 18mila. L'avvocato Giullini, a un mese esatto dal crash dell'azienda prospetta un piano di rientro e dichiara, nel documento che vi mostriamo qui sotto: «La società conferma che il primo livello di audit del software sarà completato nella settimana in corso (la nota è del 5 settembre 2022 n.d.r.). A suddetto adempimento la prima bozza del piano di rientro verrà emessa», assicura. Poi però fa notare che è meglio mettersi d'accordo che cercare altre vie, come quella giudiziaria, concetto che aveva già espresso ma che qui ribadisce: «A riguardo - scrive nella nota l'avvocato Giullini - si evidenzia ancora una volta che un dialogo negoziale costituisce la migliore opzione possibile per i clienti, a differenza invece di azioni giudiziarie che, per loro natura stessa, non avrebbero la tutela del cliente come principale scopo della valutazione». Il documento, come si può notare, ha come indirizzo Stoccolma. 

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Chiediamo alla famiglia che ha accettato di raccontarci quanto gli è avvenuto che idea si sono fatti di questa vicenda e soprattutto di quanto sta accadendo ora: «Abbiamo la sensazione ci sia una gran parte dei 4800 clienti che si fida ancora della NFT, che usa un tipo di comunicazione che fa ancora breccia. Dall'altra però la sensazione è che molti probabilmente non si fidano a far denuncia perché i soldi investiti possono essere frutto di guadagno in nero, di operazioni non trasparenti o di capitali nascosti all'estero. Tra i 4800 ci sono di certo famiglie come la nostra, che pensava di guadagnare qualcosa sfruttando queste nuove opportunità anche perché si fidava della persona che gliel'ha proposta, ma il fatto che la maggior parte non abbia voglia di denunciare e anzi freni di fronte a questa opportunità, fa sottintendere che uno dei motivi potrebbe proprio essere quello. Se alla NFT negano che questo si tratti di un sistema Ponzi, possiamo allora dire che ne è l'evoluzione. I primi sono stati pagati e gli ultimi rimangono a bocca asciutta, come è successo in questo caso». 

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