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Cronaca Trebaseleghe / Via Giovanni Pascoli

Gianluca Salviato liberato rientra a casa a Trebaseleghe: "Viva l'Italia"

Domenica sera il tecnico 48enne è tornato nella sua abitazione in via Pascoli, dopo essere stato prigioniero per 8 mesi in Libia, dove si trovava per lavoro. Calorosa accoglienza tra lacrime e parole di commozione

"Viva l'Italia, grazie a tutti!". Così, tra applausi, baci, lacrime, grida, abbracci, slanci di patriottismo, pacche sulle spalle e una corale commozione, Gianluca Salviato ha salutato familiari, vicini, amici e istituzioni presenti nella tarda serata di domenica, assiepati davanti ai cancelli della sua abitazione in via Pascoli a Trebaseleghe per accoglierlo dopo la liberazione che nelle scorse ore ha messo fine a otto lunghi e sofferti mesi di prigionia in Libia. "Noi non abbiamo mollato, finalmente sei qui", recitava lo striscione affisso alla recinzione.

IL VIDEO: Calorosa accoglienza a Trebaseleghe per Salviato

CALOROSA ACCOGLIENZA. Il tecnico 48enne, originario di Martellago, nel Veneziano, ma residente a Trebaseleghe, nel Padovano, è stato raggiunto al suo arrivo da cori di gioia: "Hip hip hurrà, dai Luca, siamo a casa". Presente anche il sindaco del paese, Lorenzo Zanon. Sventolando il tricolore, Salviato ha ricambiato il caloroso bentornato con emozionate parole in dialetto, ringraziando tutti quelli che in questi mesi lo hanno "sostenuto", riservando un particolare pensiero agli "uomini della Farnesina" e dei "nostri servizi segreti, con un cuore grande così". "Ho pregato tanto il signore", ha aggiunto, riportando la mente ai momenti più duri della prigionia, cominciata con il rapimento il 22 marzo scorso a Tobruk, dove si trovava per seguire i lavori di realizzazione degli impianti fognari. Dalle prime ore si aveva subito temuto per la sua sorte perché soffre di diabete e nella sua macchina erano rimaste le medicine per lui vitali.

Gianluca Salviato torna a casa

LA PRIGIONIA. "Sono stati mesi duri - ha raccontato al suo arrivo in Italia - All'inizio mi hanno un po' maltrattato, poi mi hanno trattato con rispetto. Erano ragazzi tra 20-25 anni, tutti con la barba lunga e coperti con cappuccio, non li ho visti in faccia. Si definivano mujaheddin. Ho avuto pochissimi contatti con loro, mi portavano da mangiare, mi facevano i video". E sulle sue condizioni di salute, ha aggiunto: "Mi hanno dato l'insulina dopo tre giorni e quando chiedevo qualche medicina, me la portavano".

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