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Cronaca

"Gli affreschi di Giotto erano copie" 5° PARTE - Attori con abiti vescovili

"L'artista, nel dipingere la cappella degli Scrovegni di Padova, riprodusse scene dalle sacre rappresentazioni". Lo studio di Ubaldo Di Benedetto

"Gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni non sono creazioni artistiche originali, bensì copie delle sacre rappresentazioni". Ad Affermarlo è Ubaldo Di Benedetto. Oltre 35 anni di insegnamento alle spalle, lo studioso è stato docente alla Harvard University, dove ha tenuto diversi corsi di arte. Ha contribuito alla stesura di diversi articoli e libri. Nel 1997, è stato eletto membro della Reale Accademia di Spagna per aver pubblicato studi comparativi. Autore di Polar Day 9, il romanzo, scritto sotto lo pseudonimo di Kyle Donner, che ispirò il film di Emmerich "Il giorno dopo domani". È cattedratico emeritus dal 2012.

LA RUBRICA - "GLI AFFRESCHI DI GIOTTO ERANO COPIE"

"GLI AFFRESCHI SONO COPIE". Dopo anni di studi e ricerche, lo studioso ritiene di aver dimostrato la tesi che Giotto non creò nulla, bensì riprodusse, nelle sue raffigurazioni, il palcoscenico sul quale furono inscenate le sacre rappresentazioni. "Nel 1913, il medievalista Émile Mâle dichiarò che l’iconografia del teatro medievale ebbe un enorme influsso sulla pittura, e non viceversa - scrive Ubaldo Di Benedetto - possiamo ora affermare con certezza che l’iconografia del dramma religioso diede luogo alla scenografia nella pittura".

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Continua da 4° PARTE - La posizione degli attori (1° PARTE - componenti permanenti - 2° PARTE - Il tavolato inclinato - 3° PARTE - Gli elementi di scena)

I COSTUMI PROTAGONISTI NEGLI AFFRESCHI ERANO ABITI VESCOVILI.

I costumi erano la prima cosa che chiamava l’attenzione degli spettatori. Quando si entra nella cappella Scrovegni, il manto giallo di Giuda è il primo dettaglio che attira. 

Nel Medioevo non vi erano sarti dello spettacolo, solo sarti e sarte della Chiesa. Quando il Vaticano riconobbe il valore didattico delle sacre rappresentazioni, ed ebbe la certezza del fatto che il teatro non ispirava idolatria, la comunità ecclesiastica locale si impegnò a fare risaltare i personaggi importanti, prestando eleganti e costosi abiti vescovili ai produttori del teatro medievale. Il costume del sommo sacerdote Caifa in Bacio di Giuda è una dimostrazione del ruolo dei costumi sul palcoscenico.

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Si tratta di un finissimo abito che il sadduceo non avrebbe mai indossato marciando fra soldati armati e sgherri nella manovra notturna descritta da Matteo (26). L’abito è rimarchevole per bellezza, opulenza e lusso. È fatto di una stoffa pregiata per la sua qualità, ma anche prominente per gli ornamenti. In particolare, la costosa fascia ricamata in oro lo rende ineguagliabile agli abiti che indossano i soldati che seguono Caifa.

Infatti, l’abito è il piviale che entrò nella liturgia nell'ottavo secolo. Manto usato in celebrazioni speciali, il piviale è rinomato anche oggi per la stoffa pregiata e le distintive strisce con minuziose decorazioni in oro, effettuate con esclusivi filati fatti a mano che richiedono cura e precisione. Il piviale è rimasto nella liturgia malgrado i cambiamenti dovuti al costo di produzione e alle nuove esigenze.

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Questa ampia veste liturgica di forma semicircolare lunga fino ai piedi e aperta sul davanti è corredata con un “fermaglio” d’obbligo. Il sistema di tenere allacciati i due lembi all'altezza del petto assunse un’importanza ornamentale che passò dal semplice bottone nell’affresco a una larga placca ovale d’oro arricchita di pietre preziose che vediamo nel piviale nella foto che segue:

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Detto anche manto o cappa, il piviale è il primo segno inequivocabile della gerarchia ecclesiastica che si manifestò nel Medioevo, e riuscì a rendere visibile come i vescovi locali fossero al vertice dell’ordine sociale nel mondo feudale. 

La ricchezza del pluviale non ha subito crisi. Le strisce d’oro sono rimaste emblematiche dell’abbigliamento liturgico, mentre la veste stessa ha sostenuto alterazioni minori, come possiamo vedere nella seguente foto di un piviale del XVIII secolo conservato nel Museo del Colle del Duomo.

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La più antica illustrazione di un piviale bordato con un nastro somigliante quella nell’affresco fu scolpita su una lapide fuori dalla chiesa di Ashbury, in Inghilterra, nel XV secolo:

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La dalmatica è un altro abito vescovile che la Chiesa prestava al teatro:

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La dalmatica conferma la tesi che Giotto copiò le sacre rappresentazioni esattamente come erano sceneggiate dal teatro medievale.  

Le seguenti caratteristiche della dalmatica hanno lo scopo di verificarlo:

     1. La striscia intorno al collo. 

     2. Le strisce all’ estremità  delle maniche. 

     3. Le due strisce verticali lungo i fianchi. 

Queste tre strisce sono quelle che vediamo nella dalmatica che Gesù indossa nell’affresco Cacciata dei mercanti dal tempio :

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“Gesù andava vestito nella maniera più vicina al beduino di oggi”, cosi leggiamo in www.viedellospirito.it. Anzi, Giovanni in 19-23 descrive il manto come "semplice senza cuciture, e tessuto per intero dall’alto in basso".

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A Padova, nel 1305, gli spettatori non videro un semplice manto. Un costoso costume ricamato in oro chiamò la loro attenzione.    

Era  teatro. 

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