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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Mafia, infiltrazione appalti pubblici Arrestato l'ad della Fip di Padova

Mauro Scaramuzza, amministratore mestrino dell'impresa di Selvazzano aggiudicataria di lavori in Sicilia, è accusato con il padovano Achille Soffiato responsabile del cantiere di aver favorito la famiglia mafiosa La Rocca

Associazione di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno in associazione mafiosa. Sono i reati di cui sono accusati, a vario titolo, dalla procura di Catania, l'amministratore delegato della Fip di Selvazzano, l'ingegnere 55enne mestrino Mauro Scaramuzza, l'ingegnere 39enne padovano responsabile del cantiere Achille Soffiato, Gioacchino Francesco La Rocca, figlio 42enne del capomafia detenuto "Ciccio", della storica "famiglia" La Rocca di Caltagirone legata a Cosa nostra, il cognato 53enne Giampietro T. e il fratello di quest'ultimo, il 42enne Gaetano T. Secondo l'accusa, la Fip, attraverso Soffiato e Scaramuzza, avrebbe affidato lavori in subappalto a società che, ritengono la procura di Caltagirone e la Dda di Catania, fossero controllate dalla famiglia La Rocca.

SOCIETÀ SEQUESTRATE. Gli arresti sono stati eseguiti nell'ambito di un'inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la "variante Caltagirone". Nel corso dell'operazione, sono state sottoposte a sequestro preventivo due società. Secondo la Procura, l'ad della Fip di Padova, impresa di rilevanza internazionale, aggiudicataria dell'appalto (insieme alle società L&C unite in associazione temporanea di imprese) era "consapevole di apportare il contributo al clan La Rocca".

SUBAPPALTI MAFIOSI. Dalle indagini dei carabinieri sarebbe emerso l'interesse dei La Rocca nell'esecuzione dei lavori. Secondo l'accusa, la cosca avrebbe agito affinché venissero dati in subappalto a ditte direttamente controllate dal clan con contratti artificiosamente frazionati in modo da eludere la normativa antimafia, percependo così un indebito profitto mediante l'ottenimento di finanziamenti pubblici.

I FRAZIONAMENTI. Avrebbero frazionato, con la complicità di dipendenti dell'Anas di Catania, i subappalti senza superare la soglia di 154mila euro, limite da cui scatta l'obbligo dei informative e certificati antimafia. Era la tecnica, secondo la Dda della Procura di Catania, adoperata per favorire l'inserimento di aziende del clan nella realizzazione del primo stralcio della "Variante di Caltagirone", che interessa 8,7 chilometri di una strada progettata negli anni Sessanta, finanziato con poco meno di 112 milioni di euro.

COINVOLTI DIPENDENTI DELL'ANAS. I carabinieri stimano che su circa 36milioni di euro in subappalto, un milione sono arrivati a una ditta, la "To Revive", che è stata sequestrata assieme alla Edilbeta costruzioni, gestita dal figlio del boss. Il meccanismo, ritengono i militari dell'arma, coinvolgeva anche tre dipendenti dell'Anas, per i quali le procure di Caltagirone e Catania avevano chiesto un provvedimento cautelare, ma che il gip non ha concesso perché ha riconosciuto l'ipotesi di abuso d'ufficio, ma non l'aggravante dell'avere favorito l'associazione mafiosa. Negati anche ordinanze per un dipendente Fip e un presunto affiliato al clan. Nell'inchiesta, aperta a giugno del 2011, ci sono altri indagati in stato di libertà.

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