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Cronaca Sant'Urbano

«Mauro Guerra non era pericoloso. Non doveva finire così, la situazione è sfuggita di mano»

Il maresciallo Filippo Billeci sui fatti di luglio 2015, quando a Carmignano di Sant'Urbano, Mauro Guerra perse la vita: «Chiamato per un Tso che solo dopo ho scoperto non esserci. Il brigadiere Sarto sostiene in tribunale che comandavo io? Chissà perché»

In tribunale, sia nel primo grado a Rovigo che nella causa civile presso l'aula bunker di Mestre, non è mai stato chiamato. Eppure, quando il 29 luglio del 2015 la situazione a Carmignano di Sant'Urbano cominciò a prendere una brutta piega, si rivolsero a lui proprio i suoi colleghi in un pomeriggio drammatico che portò alla morte di Mauro Guerra. Dopo quel giorno nessuno lo ha più però convocato per sentire la sua versione dei fatti, quella del maresciallo Billeci. Che cozza, in diversi punti, con quanto raccontato in tribunale, dal collega brigadiere, Stefano Sarto. 

Maresciallo 

Il maresciallo Filippo Billeci è il comandante della stazione dei carabinieri di Battaglia Terme dal 2015. Nel 2011 è tra gli artefici dell’operazione “Manleva”, con cui sgominò un pericoloso clan camorristico dei Catapano. Insignito del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica italiana, nel 2018, il maresciallo maggiore Billeci ha svolto gran parte della sua carriera nella provincia di Padova. In Veneto dal 1982, dopo una breve parentesi a Padova è stato trasferito nell’Estense dove ha lavorato come addetto al nucleo Motociclisti e autista di radiomobile fino al 1990.

Mauro

Nel 1996, Billeci, partecipa al concorso per marescialli e viene trasferito alla stazione di Carmignano di Sant’Urbano che comanderà dal 2003 al 2015, per 12 anni. Qui la sua storia si incrocia irrimediabilmente con quella di Mauro Guerra, il trentaduenne di Carmignano di Sant'Urbano ucciso il 29 luglio del 2015 da un colpo di pistola esploso dall’arma del maresciallo Marco Pegoraro, mentre tentava di sottrarsi a un Tso che nessuno aveva mai richiesto, quindi illegittimo. Con lui aveva un rapporto di confidenza consolidato. Per questo, quel pomeriggio, come racconterà tra poco, era stato chiamato dai suoi colleghi. 

L'assedio

Il processo di primo grado a carico del maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro si è concluso nel dicembre del 2018 con la sua assoluzione, come chiesto dalla stessa procura. Per i giudici Pegoraro ha sparato a Guerra che stava aggredendo un collega, il brigadiere Stefano Sarto, nel tentativo di salvare la vita a quest’ultimo. Mauro Guerra è poi morto a causa del proiettile che lo ha colpito al fianco. Tra una decina di giorni sarà pronunciata la sentenza della causa civile intentata dai legali della famiglia Guerra, gli avvocati Fabio Pinelli e Alberto Berardi. Durante questo nuovo processo, c’è stata finalmente l’occasione di sentire il racconto del brigadiere Stefano Sarto che ha chiamato in causa proprio il maresciallo Billeci, sostenendo tra le altre cose che fu lui a dare l’ordine di rincorrere Mauro Guerra che fuggiva, a piedi scalzi e in mutande, verso i campi, poi raggiunto da Sarto, che secondo quanto da lui dichiarato, viene aggredito dal trentaduenne mentre lui cerca di ammanettarlo. 

Giuramento

Sarto ha altresì sostenuto in aula, quindi sotto giuramento, a domanda diretta, «che non si poteva fare altrimenti, bisognava fermare Guerra in tutti i modi perché si stava avvicinando pericolosamente verso un caseggiato e poteva quindi essere pericoloso per qualcuno». Va detto, a onore di cronaca, che se una persona, anche senza correre, si incammina da casa dei Guerra, che dista circa 300 metri dalla stazione dei carabinieri, supera la chiesa e va verso il luogo dove ha perso la vita Mauro, nel deserto di campi seccati dal sole e dalla calura di quei giorni, difficilmente troverà anima viva. Figuriamoci una casa abitata. Sentita però la veemenza con cui il difensore di Pegoraro, l’avvocato Stefano Fratucello, ha spinto su questo aspetto, viene da pensare che quella passeggiata non l'ha assolutamente mai fatta neppure lui. In ogni caso, sempre sotto giuramento evidentemente, Sarto ha molto insistito su questo argomento, la pericolosità del trentaduenne di Carmignano di Sant’Urbano che non aveva nessuna intenzione di farsi fare un Tso che gli stessi carabinieri della stazione del suo paese, volevano imporgli senza alcun diritto. E per farlo lo hanno assediato in casa per tre ore.

Mediazione

Per questo abbiamo deciso di sentire anche la voce di chi è stato tirato in causa diverse volte senza però che nessuno lo abbia mai ascoltato, a parte quando sono state raccolte le deposizioni da parte dei suoi stessi colleghi all’epoca dei fatti. Deposizioni che come si può intuire, furono molto simili una all’altra. Lo raggiungiamo al telefono, il maresciallo Filippo Billeci: «Mi spiace venga sempre fuori il nome, ma ci sta visto che io ero presente». Il suo nome lo ha fatto nell’ultima udienza il brigadiere Sarto, gli spieghiamo. Ha sostenuto, in aula di tribunale, che fu lei a dare l’ordine di inseguire Mauro Guerra: «Nessuno ha chiesto la mia versione, però. Da parte di un tribunale non credo sia la cosa più opportuna. Mauro è una ferita anche per me, con lui avevo un rapporto particolare, ci capivamo. Per questo sono stato chiamato quel giorno di luglio. Per vedere se si riusciva a riportare alla normalità la situazione. Quando sono arrivato però c’era il mondo attorno a quella casa. Io ci ho provato a far ragionare Mauro, c’ero anche quasi riuscito ma poi la situazione è sfuggita di mano a tutti ed è finita, purtroppo, malissimo». Una tragedia, soprattutto per la famiglia Guerra, i genitori in particolare, che sono stati investiti dal dramma della perdita di un figlio. Un destino crudele che ha toccato anche il maresciallo Billeci che, nel luglio del 2021, ha perso il figlio ventinovenne. Il giovane Filippo stava lavorando quando ha avuto un malore e dopo dieci giorni è deceduto. Genitori che sopravvivono ai loro figli. 

TSO?

Lei perché era stato chiamato, dai suoi colleghi? «Quando è successo il fatto erano tre mesi che ero stato trasferito a Battaglia Terme. Io ero convinto che dovessi andare lì per un Tso, così mi era stato detto. Il mio compito era quindi, proprio per il rapporto di confidenza ma soprattutto di fiducia che c'era tra noi, quello di tranquillizzarlo e farlo ragionare. Ma non ci sono purtroppo riuscito. A proposito di quello che ha detto Sarto, se qualcuno me lo chiederà, risponderò. Dire che io avevo dato il comando - dice con tono un po' scocciato - non ero certo io che comandavo. Io avevo un compito da mediatore, diciamo così. Mi piacerebbe capire perché Sarto ha detto così. Bisogna vedere poi cosa intende lui per catturarlo».

Carabinieri

Cosa intende quando dice che la situazione è sfuggita di mano? «Non doveva finire così. Ognuno si deve assumere le sue responsabilità rispetto a quello che è successo. Io sono arrivato da Battaglia Terme convinto ci fosse un Tso, dopo ho scoperto che non c’era. Ma in quel momento io non lo sapevo. Ma è chiaro che opporre resistenza a un Tso giustifica l’intervento dei carabinieri. Però ripeto, il mio compito era quello di tranquillizzarlo e c’ero riuscito. Poi quando siamo usciti in cortile e nessuno si è fatto avanti con il documento che certificava un Tso. Quando Mauro ha visto che non c’era ha detto che quindi lo si poteva lasciare stare e ha preso la strada per i campi. Certo, se fossi riuscito a stargli vicino, Mauro sarebbe ancora qui. Ne sono convinto».

Pericoloso

Secondo lei Mauro poteva essere pericoloso, una volta che ha preso la strada per i campi? «Sia cortese, non mi faccia queste domande». Il brigadiere Sarto e il legale di Pegoraro, l’avvocato Stefano Fratucello però hanno insistito su questo punto, in aula di tribunale: «Lo sappiamo benissimo, non credo fosse pericoloso. Se lo fosse stato non sarei stato in casa da solo un’ora con lui. Per me Mauro non era pericoloso, con me non c’erano mai stati problemi in tanti anni».

Epilogo

«Ripeto, forse con un po’ di presunzione ero convinto di riuscire a fare qualcosa di utile, purtroppo non ci sono riuscito e in più sono stato coinvolto in una cosa che è finita come non doveva finire. Lei mi chiede se poteva essere pericoloso. Prima che arrivassi io era abbastanza alterato, poi quando sono arrivato io si è calmato. Quando si è messo a correre lungo la strada non ha fatto nulla a nessuno». Si ferma un momento, prende fiato, una delle poche volte in cui, in tutta la conversazione, accade. Riprende, ma il tono della voce è diverso. Non meno sicuro, non ha mai esitato neppure un secondo alle nostre sollecitazioni, ma tradisce una certa sofferenza, qualcosa più vicina a un dolore che a un fastidio, succede proprio quando si stava concludendo la telefonata. «Com’è andata poi lo sa, purtroppo. C’è stata quella colluttazione con Sarto, poi il collega che è intervenuto (il maresciallo Pegorare che ha esploso i colpi di pistola n.d.r.) ha deciso di operare in quella maniera. E quando si opera in quella maniera… Questa è la storia, purtroppo».

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