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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Maltrattamenti, patteggia l'ex della Uno Bianca. Intanto i famigliari chiedono di riaprire le indagini sulla banda

Doveva rispondere dell'accusa di maltrattamenti alla compagna, Marino Occhipinti, ha patteggiato il minimo della pena. I famigliari delle vittime nei giorni scorsi hanno firmato un documento in cui si chiede la riapertura delle indagini: «Non fu una semplice banda, erano terroristi che volevano seminare panico»

Ha patteggiato due anni di reclusione, il minimo della pena, Marino Occhipinti. Lo ha fatto davanti al gup del tribunale di Padova, dove il componente della Banda della Uno bianca doveva rispondere dell'accusa di maltrattamenti alla compagna. Una inchiesta che aveva portato alla revoca della liberazione condizionale per l’ex poliziotto, condannato all’ergastolo per i delitti commessi dalla spietata banda capitanata dai fratelli Savi e composta per cinque sesti da poliziotti che fra il giugno 1987 e il novembre 1994 seminò terrore in Emilia-Romagna e Marche e provocando la morte di 24 persone e il ferimento di 102. 

Denuncia

La denuncia della donna nel 2022 aveva però portato alla revoca della liberazione condizionale per l’ex poliziotto. Dopo 24 anni di carcere, nel 2018 Occhipinti aveva ottenuto il beneficio della libertà condizionale, il Tribunale di sorveglianza di Venezia aveva giudicato «autentico» il suo percorso di pentimento, intrapreso all’interno del carcere di Padova.

Famigliari vittime

Solo due settimane fa, intanto, alcuni famigliari della vittime della banda della Uno bianca, tramite l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno presentato in Procura un corposo esposto in cui si chiede di riaprire le indagini su complicità e coperture nelle istituzioni, mai svelate, di cui avrebbe goduto all’epoca il gruppo criminale. «Le istituzioni hanno l’obbligo di fare piena luce su questa terribile vicenda per il sangue versato da tanti cittadini inermi, da poliziotti e da carabinieri, perseguendo complici e mandanti della banda della Uno bianca, che ha seminato panico e terrore in un’area del nostro Paese, già martoriata da tante stragi terroristiche», hanno dichiarato i famigliari delle vittime che hanno firmato un documento per la riapertura delle indagini. «Non fu una semplice banda, erano terroristi che volevano seminare panico». Agli ordini di chi? E' uno dei misteri che avvolge questa storia e che nessuno è riuscito mai a svelare. L’esposto – 250 pagine firmate da una decina di familiari delle vittime, fra i quali non c’è la presidente dell’associazione Rosanna Zecchi, è stato depositato dall’avvocato Alessandro Gamberini alla Procura di Bologna, alla Procura nazionale antiterrorismo e, per conoscenza, a quella di Reggio Calabria, che ha indagato sulla Falange armata, tornata d’attualità nel recente processo ’Ndrangheta Stragista.

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